Quella del libro preferito è da sempre una domanda a trabocchetto, perché immediatamente ti ritrovi catapultato nel girone dei vanagloriosi e, pur di fare bella figura, ti autoproclami un “lettore vorace” e cominci a snocciolare con una punta di noia tutti i classici da Roth a Franzen, passando per Toni Morrison e Zadie Smith, con un’incursione fra Carver e Barthelme, citando en passant Stephanie Meyer perché comunque tu non sei snob!
La verità però è un’altra, perché se è vero che ci sono libri che ti salvano la vita, ci sono anche libri che la vita tendono a rovinartela irrimediabilmente se non stai più che attento.
Quando ho letto Il Giovane Holden, per dirne una, avevo 25 anni e mi volevo sparare un giorno su due, e se lo rileggessi oggi sarei esattamente lì allo stesso punto, perché ci sono autori che ti entrano nel cervello e premono bottoni a caso (o bottoni giusti) e rimangono lì dentro a tiranneggiarti con la loro voce per giorni e giorni, finché o apri le finestre e fai uscire il fumo, o soccombi.
Il Piccolo principe per rimanere in tema di autori sensibili, letto da adulta mi fece piangere una notte intera che la mia coinquilina venne a portarmi 2 Xanax.
Mi sentii nell’ordine la rosa, la volpe, l’ubriacone e il baobab!
Dato perciò il mio livello di esagerata empatia non posso permettermi ogni lettura con troppa leggerezza, pena il conficcarmi schegge nel cuore per giorni e giorni.
Ma posso dire che un libro che ho amato moltissimo, tanto da chiamare così uno dei miei gatti (il più scemo ovviamente) è Nessuna notizia di Gurb di Edoardo Mendoza, la storia comicissima scritta sotto forma di diario, di un extraterrestre che sbarca a Barcellona durante i giochi olimpici e perde il suo compagno (Gurb appunto) e per quasi un mese lo cerca disperatamente per una Barcellona che è un cantiere a cielo aperto, prendendo le sembianze di tutto quello che capita (“Non trovo da nessuna parte boccali da birra, bevo applicando le labbra alla spina, mi esce schiuma da tutti i pori. Sembro un agnellino!”).
È divertente, acuto, irriverente, e mi predispone al buon umore ogni volta che lo leggo.
Ma se devo eleggere colei che più che scrivere compone sinfonie e che potrebbe a mio modesto parere vincere il Pulitzer con la sola lista della spesa, è Miriam Towes, con I miei piccoli dispiaceri, la storia parzialmente autobiografica della sua squinternata famiglia Mennonita (“quando il medico disse a mia madre che bisognava togliermi le tonsille, lei disse, certo, probabilmente possiamo farlo noi in casa, ma grazie lo stesso”) e del suicidio annunciato della sorella Elf, una splendida pianista in carriera, con una testa geniale e una simpatia strepitosa, ma che è “semplicemente” stanca di vivere e “tutto” quello che chiede alla sorella è di aiutarla ad andarsene.
Miriam Towes è la poesia, è l’ironia, è il saper accostare le parole in combinazioni che ti scavano buchi nell’anima, Miriam Towes è colei che non mi stancherò mai di leggere.
“Le mie parole non sono solo parole. Sono immagini e lacrime e imperfette offerte d’amore e pallottole che mi sparo in testa”.
E anche se mi fa un male cane, è un male buono. Un male che ti salva.
L’AUTRICE E IL LIBRO – Federica Bosco, scrittrice e sceneggiatrice, è autrice di diversi bestseller e manuali self help; tra i suoi romanzi, ricordiamo Pazze di me (Mondadori), dal quale è tratto l’omonimo film di Fausto Brizzi. È tornata in libreria con il romanzo Ci vediamo un giorno di questi (Garzanti), la storia dell’amicizia che lega due donne molto diverse: Ludovica, timida e riservata, e Caterina, intrepida ed energica, inseparabili fin dall’infanzia. Insieme ne hanno passate di tutti i colori, fino a crescere il figlio di Caterina, ma ora sta a Ludovica agire fuori dagli schemi per aiutare l’amica…
Nota: la foto dell’autrice è uno scatto © Luca Brunetti
Fonte: www.illibraio.it