Cristina Caboni torna in libreria con La casa degli specchi, dopo aver pubblicato con successo, sempre con Garzanti, Il sentiero dei profumi, La custode del miele e delle api, Il giardino dei fiori segreti, La rilegatrice di storie perdute e La stanza della tessitrice.
La nuova storia ha come sfondo una villa a Positano, l’unico posto che Milena, la protagonista, riesce a chiamare casa.
Il maestoso ingresso dell’abitazione è circondato da dodici specchi dalle cornici d’argento intarsiate, Milena ha sfiorato quei vetri mille volte in cerca di chissà quali risposte: conosce ogni angolo di quella villa, dopo esservi cresciuta con il nonno. Ma in un particolare giorno, la donna si accorge di qualcosa di inaspettato, sconosciuto: un gancio nascosto che apre una porta su una piccola stanza. Al suo interno, le pareti si presentano interamente tappezzate di locandine di vecchi film, dove il nome dell’attrice protagonista, risulta essere il tabù di quella casa.
Il nome della nonna, scappata in America senza lasciare traccia, è tra tutte quelle carte. È così che Milena scopre che la donna era un’attrice nell’epoca d’oro della Dolce Vita romana e che i suoi sogni erano simili ai propri: recitare su un palcoscenico, se non fosse per la sua paura di mettersi in gioco…
Caboni, che vive con il marito e i figli in provincia di Cagliari occupandosi di un’azienda apistica di famiglia, torna con un romanzo avvincente: Milena si imbatte infatti in indizi che raccontano qualcosa di misterioso, e inizia a convincersi che nel passato della sua famiglia ci sia un segreto che può aiutarla a capire il suo presente. Nessuno le ha mai parlato della nonna, né di cosa sia successo all’epoca. L’unica persona a cui chiedere è il suo amato nonno ma, a volte, quello che è stato sepolto dagli anni è meglio che rimanga tale…
Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it pubblichiamo un capitolo del libro:
Eva, 1956, Venezia
A Venezia, anche il tramonto era diverso da tutti gli altri che aveva visto prima, pensò Eva Anderson schermandosi gli occhi. Quell’oro, porpora e viola su un cielo ancora azzurro era unico, come lo erano i palazzi antichi tra i canali dalle acque color platino e le barchette strane dal nome divertente – «gondole» – su cui lei e le sue compagne di avventura Edith e Lauren erano salite al loro arrivo in città qualche giorno prima.
Si guardò intorno per l’ennesima volta cercandole tra la folla, ma non vide nessuna delle due. Si erano perse di vista mentre cercavano di avvicinarsi al palazzo del cinema. Erano arrivate al Lido insieme a centinaia di persone che volevano assistere alla prima serata della Mostra internazionale del cinema. Sul lungomare Marconi, prima di giungere nei pressi del red carpet, Eva si accorse di essere rimasta sola. Ma forse era meglio così. Le piaceva stare da sola, perché poteva riflettere e allo stesso tempo immergersi in ciò che la circondava.
Indossava sottili guanti di cotone bianco e un prendisole di lino verde. I capelli, lunghi fino alla vita, che non aveva fatto in tempo a raccogliere perché erano uscite di corsa dall’albergo, le avevano fatto guadagnare qualche scatto di più di un fotografo.
Gli sguardi interrogativi che la scrutavano l’avevano fatta sentire al centro dell’attenzione, come una diva. Come una di quelle che aspettava di veder sfilare insieme a tutte le persone assiepate dietro gli spalti e le transenne, con il cuore che batteva forte: attrici e attori, stelle e stelline di un mondo magico.
Quello del cinema.
Quello dei sogni.
Eva però non aveva con sé un quaderno degli autografi: non era la firma di una delle celebrità che da lì a poco avrebbero solcato quel tappetto cremisi ciò che desiderava.
In fondo all’anima si sentiva una ladra.
Era una ladra.
Di vite altrui, di emozioni, di intense sensazioni che desiderava ardentemente divenissero la sua vita.
Eva studiava le attrici con un misto di interesse e invidia, un’invidia diversa però da quella che si leggeva negli occhi delle persone accorse lì per curiosare. Non era il loro posto che voleva: lei smaniava dal desiderio di sapere cosa si provasse a interpretare quelle parti importanti per le quali erano state scelte, perché il poco che aveva assaporato di quel mondo, quando era ancora a Los Angeles, non solo le era piaciuto tanto da non volerci più rinunciare, ma l’aveva
spinta a trovare un modo di proseguire la sua carriera. Il cinema le offriva una realtà che poteva dominare, priva di incertezze, nella quale sentirsi a proprio agio. E lei amava la sensazione che provava mentre recitava.
Sapeva che solo guardando da vicino i volti delle dive avrebbe provato il brivido di percorrere quel sentiero scarlatto, che segnava un traguardo nella vita di qualsiasi attore. Non aveva importanza da quale nazione provenisse, perché la Mostra internazionale del cinema di Venezia era il sogno di tutti.
E lei non faceva eccezione.
All’improvviso, il brusio crebbe di intensità, il tono si sollevò, quelli che fino a quel momento avevano semplicemente scrutato la strada, presero ad agitarsi.
«Eccola, eccola arriva!»
Anche i fotografi che occupavano un posto migliore nel palazzo del cinema iniziarono a brandire entusiasti le macchine fotografiche, sollevandole oltre chi avevano davanti. I flash erano raffiche di lampi di luce. I nomi che urlavano, fili capaci di attirare gli sguardi.
«Anna, qui, girati dai, bella! Nannaré, su da brava fammi un sorriso!»
Eva conosceva la donna bruna dallo sguardo penetrante e l’espressione severa. Era Anna Magnani. Joe Hyams aveva pubblicato una sua intervista sul «New York Herald Tribune» in occasione della candidatura all’Oscar per il film La rosa tatuata. Eva non si era persa una parola. La schiettezza della Magnani, che rispondeva a una domanda insolente con un’altra domanda, l’aveva fatta sorridere e le aveva dimostrato quanto si potesse essere attori senza perdere la propria identità. E adesso che aveva vinto l’Oscar come migliore attrice, quegli occhi neri e profondi la riempivano di emozione. Un sorriso addolcì quelle labbra solitamente piegate in giù, e dalla folla si levò un’esclamazione.
Non era bellissima, ma emanava un carisma autentico, di quelli che si facevano sentire dentro come una certezza. Che facevano la differenza.
Dopo la Magnani fu la volta di Silvana Mangano. Indossava un abito bianco di chiffon, un filo di perle intorno al lungo collo sottile. Aveva i capelli neri e corti. Era aggraziata, i suoi passi erano lievi tanto quanto erano stati energici quelli della Magnani.
Due dive a confronto, due grandi interpreti.
C’erano anche Henry Fonda, Ruth Roman e Lea Massari.
Uno dopo l’altro, gli attori arrivavano insieme ai loro accompagnatori e si esibivano in entusiastici sorrisi, qualche autografo, persino una o due foto.
Eva non riusciva a distogliere lo sguardo. Era sempre stata capace di immedesimarsi: le bastava raccogliersi in sé stessa per sentire sbocciare le emozioni. In quel momento seppe che avrebbe fatto di tutto per diventare come loro. Perché recitare era l’unica cosa che sapeva fare, l’unica che le interessasse davvero.
(continua in libreria…)
Fonte: www.illibraio.it