Vito Mancuso, noto teologo italiano, dal 2013 docente presso l’Università degli Studi di Padova, è in libreria per Garzanti con Io amo – Piccola filosofia dell’amore. E in vista delle festività natalizie, ha risposto ai quesiti de IlLibraio.it.
Il Natale è ancora una festa religiosa?
“Io penso di sì, che lo sia ancora, per lo meno in Italia. Certo, sono consapevole dell’aspetto commerciale del Natale e di come questo sia soverchiante, tuttavia ritengo che il rimando a quel bambino che nasce, e a ciò che quel bambino per molti significa, sia ancora vivo in molte persone. Il sentimento religioso non è per nulla scomparso, magari non conosce più le forme per manifestarsi come una volta, ma quando trova occasioni per riemergere lo fa, e il Natale (con le Chiese sempre così piene) è certamente una di queste”.
Le sembra giusto il modo in cui la Chiesa ritualizza e amministra questa festa?
“Sì, non penso di avere obiezioni al riguardo. Certo, molto dipende dal singolo prete, dalla sua capacità di celebrare veramente il mistero (divino e umano al contempo) cui la festa rimanda. Vi sono Chiese, entrando, nelle quali per la Messa si percepisce subito questa capacità di richiamare il cuore e la mente a una dimensione ulteriore dell’esistenza, altre invece dalle quali tutto questo è quasi assente. Ma la Chiesa gerarchica e la sua liturgia offrono tutte le possibilità perché la celebrazione possa veramente toccare la dimensione mistica dell’esistenza”.
Cosa c’è di sacro nel mangiare insieme?
“Io penso che vi sia qualcosa di sacro anche già solo nel mangiare in sé, a prescindere che lo si faccia da soli o insieme ad altri. La gran parte degli esseri umani non se ne cura e assume cibo senza avere la consapevolezza di nutrire la propria vita mediante la vita altrui, sia essa animale o vegetale. La vita si nutre di vita, ed essendo l’ambito del sacro direttamente connesso a quello della vita, si comprende come l’atto del nutrirsi e il cibo quale nutrimento abbiano già in sé una valenza sacrale. Bisognerebbe prenderne coscienza e pensare che a ogni boccone entra in noi una parte del cosmo: noi viviamo grazie al cosmo. La natura è la nostra madre in ogni giornata della nostra esistenza, non solo perché anni fa ci ha fatto nascere, ma anche, e direi soprattutto, per il fatto che ci mantiene all’esistenza. Prendere coscienza di questo legame con la natura-madre non può, a mio avviso, non generare un sentimento di sacra riverenza verso di essa. Quando poi l’atto del mangiare assume una valenza comunitaria, e la famiglia si riunisce, e si mangiano cibi particolari, legati alla tradizione e ai ricordi, e il servizio di tavola è quello bello delle grandi occasioni, allora la celebrazione della vita e dell’essere legati gli uni agli altri può assumere una valenza davvero straordinaria. Il pranzare e il cenare insieme possono raggiungere in alcuni casi una dimensione celebrativa che ha non poche analogie con quella della messa – la quale, non a caso, prende origine da un mangiare insieme, quello di Gesù con i discepoli nell’ultima cena”.
E cosa c’è di sacro nel farsi doni?
“Può non esserci nulla, e può esserci molto. Il sacro non è un oggetto tra gli altri, è piuttosto una disposizione della mente che nasce quando la mente riconosce di essere in presenza di qualcosa di più importante di sé e in un certo senso vi si inchina, come se facesse una riverenza. Ne viene che il farsi doni può essere semplicemente vissuto come un’incombenza da espletare (peraltro anche abbastanza fastidiosa), oppure come un pensare alle persone nella loro singolarità, manifestando tale nostro affettuoso pensiero tramite un oggetto concreto che si regala. Nel primo caso non c’è nulla di sacro, nel secondo il sacro è dato dall’affetto, dall’attenzione e dalla stima per quella determinata persona. Io penso che nella nostra interiorità vi siano energie così intime e particolari per le quali non è assolutamente fuori luogo parlare di sacro”.
Ultima domanda inevitabile: come festeggia il Natale Vito Mancuso?
“In modo molto semplice: Messa, pranzo in famiglia da mia madre nel paese nativo, tempo liberato, spazio ai ricordi. E quindi anche a un po’ di nostalgia per l’incanto dei Natali di quand’ero bambino e per i miei cari che non ci sono più”.
Fonte: www.illibraio.it