Vengono chiamati i bambini di Svevia, ma erano anche noti come “bambini delle rondini”. Lavoratori giovani, troppo giovani, che ogni anno lasciavano le loro famiglie per andare a lavorare nelle campagne bavaresi, protagonisti di un triste capitolo di storia quasi dimenticato, che affonda le proprie radici nella Val Venosta del Settecento, e si trascina fino alla prima metà del Novecento.
Prima degli impianti sciistici, delle località termali, del turismo naturalistico e dell’alpinismo, la Val Venosta era una valle povera, di gente contadina, dove ogni bocca da sfamare era una bocca di troppo. Aveva inizio qui il lungo viaggio dei bambini di Svevia: erano bambini e bambine tra i 5 e i 14 anni che si incamminavano ogni anno il 19 marzo, giorno di San Giuseppe, per marciare fino alla più ricca Baviera, un viaggio di oltre 200 kilometri. Una volta arrivati, le famiglie di contadini li avrebbero comprati: chi era fortunato poteva trovare una casa benevola, che lo avrebbe accolto quasi come un figlio; gli altri venivano trattati come schiavi, fino all’11 novembre, giorno di San Martino; allora, chi non era morto di stenti o di fatica, era libero di tornare a casa, e le bambine talvolta tornavano incinte. L’anno successivo si rimettevano in marcia, e ricominciavano il viaggio.
Non è una leggenda, è una di quelle pagine della storia di cui non si sente parlare abbastanza, ma rimangono ben custodite nella memoria, nei musei locali, dove ancora si conservano le foto, i vestiti, le testimonianze. È da queste testimonianze che ha avuto inizio il libro di Romina Casagrande, I bambini di Svevia (Garzanti), un romanzo storico, ma anche un saggio, un libro della memoria, un lungo lavoro di indagine e ricerca che ripercorre la tragedia dei bambini delle rondini, così chiamati perché partivano ogni primavera, per tornare in autunno.
L’autrice, nata nel ’77 a Merano, dove vive e insegna tutt’oggi, ricostruisce la storia di quei bambini a cui è stata rubata l’infanzia, ricercando negli archivi le loro tracce e osservando nelle fotografie i loro volti, nel tentativo di restituire la voce alle loro storie: I bambini di Svevia evoca giovani vite scandite dal lavoro nei campi e nelle stalle, dove è la natura a segnare il trascorrere delle ore; è in quel mondo rurale che lavora Edna, ed è lì che ha avuto inizio la sua storia, la promessa fatta a Jacob tanti anni fa. Attraverso le loro vite, come quelle di tanti altri, il libro narra di un lungo viaggio, fisico e nella memoria, nel passato del Sud del Tirolo, che ogni anno perdeva i suoi figli, nella speranza di vederli tornare.
Fonte: www.illibraio.it