Non so voi, ma io non riesco a dire niente. Ci provo anche – perché come tanti subisco anch’io questa specie di spinta invisibile della contemporaneità, “Parla! Di’ la tua! Esprimi un’opinione!” – ma alla fine non mi viene mezza parola che mi sembri sensata.
Quando succedono cose della gravità di quanto accaduto a Casal Palocco, specie se come in questo caso riguardano dei giovanissimi, la sensazione è che qualsiasi idea tu ti faccia sia solo un pezzo molto piccolo del quadro, e in ogni caso che è facilissimo sbagliare mira e scivolare nel'”O tempora, o mores!”, lasciandosi andare a discorsi da boomer incattivito e soprattutto slegato dalla realtà.
Una cosa, però, voglio provare a dirla. Una che non c’entra col fatto in sé, ma con tutto quello che ci si sta dicendo intorno.
Non generalizziamo.
Non cominciamo frasi che iniziano con “questa generazione“. Non commettiamo l’errore di guardare attraverso la lente di un singolo fatto, per quanto orribile, per pensare di vederci dentro tutti i ragazzi e le ragazze sotto i vent’anni.
Perché non sono così. Davvero, lasciatevelo dire da qualcuno che li frequenta tutti i giorni.
Ce ne saranno, certo, e forse ne verranno altri, a fare cose come queste. Ma i ragazzi non sono tutti così.
Il problema sapete qual è? Che gli altri non fanno notizia.
Solo questa settimana, ho conosciuto un ragazzino che nel tempo libero va in casa di riposo e legge libri agli anziani. Una ragazza di undici anni che vuole candidarsi e diventare Ministra dell’Istruzione e cambiare la scuola, renderla più a misura di ragazzo e ragazza. Sono stato a un Festival letterario interamente gestito e pensato da giovani delle scuole: ti vengono a prendere in stazione, ti aiutano a trovare dove mangiare, sempre con un sorriso timido e impacciato sul viso.
Non li leggi i titoloni su di loro, però. D’altronde: che noia, no?
E i social: sono davvero loro il male? Su Tiktok esistono centinaia di gruppi di ragazzi che si riuniscono a fare delle dirette per… leggere libri. Stanno insieme, uno a Catania un’altra a Rho e un altro ancora a Vancouver, e leggono, in silenzio, per poi commentare insieme e condividere le emozioni della lettura.
Altri che fanno video per darsi una mano a vicenda a superare la paura degli esami, altri ancora che creano spazi dove discutere questioni politiche e sociali.
Poi lo so, non sono mica cieco: ci sono anche quelli che per un mi piace in più farebbero qualsiasi cosa, quelli che perdono il contatto con la realtà al punto da scontrarsi con le altre auto convinti di colpire macchine vuote, ma anche lì. Sbagliamo domanda, lì.
Che non dovrebbe essere “Perché questi ragazzi sono così senza valori?” ma: “Siamo sicuri di non essere anche noi adulti, tutti, parte del problema?”
Non “Dov’erano i loro genitori?” ma “Dove stiamo andando, tutti?”
E infine: non “Quanto tempo passano sul telefono?” ma “Quanto grande deve essere il senso di vuoto in questi ragazzi? Da dove nasce?”
È un punto di partenza, se non altro.
Per cui non generalizziamo, per favore, su questa storia. Se non per dire: è un po’ colpa di tutti, se è successo.
L’AUTORE – Enrico Galiano sa come parlare ai ragazzi. In classe come sui social, dove è molto seguito. Insegnante e scrittore classe ’77, dopo il successo dei romanzi (tutti pubblicati da Garzanti) Eppure cadiamo felici, Tutta la vita che vuoi, Felici contro il mondo, e Più forte di ogni addio, ha pubblicato un libro molto particolare, Basta un attimo per tornare bambini, illustrato da Sara Di Francescantonio. È tornato al romanzo con Dormi stanotte sul mio cuore, e sempre per Garzanti è uscito il suo primo saggio, L’arte di sbagliare alla grande. Con Salani Galiano ha quindi pubblicato la sua prima storia per ragazzi, La società segreta dei salvaparole, un inno d’amore alle parole e alla lingua. Ed è poi uscito per Garzanti il suo secondo saggio Scuola di felicità per eterni ripetenti. Il suo nuovo romanzo è Geografia di un dolore perfetto (Garzanti).
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Fonte: www.illibraio.it