A volte mi compare in sogno, soprattutto quando si avvicina l’estate e alla televisione cominciano a trasmettere spot pubblicitari in cui donne di varia metratura devono abbattere fianchi e addomi per via dei costumi da bagno. Compare ed è molto diversa da com’era un tempo. Addirittura irriconoscibile se non avessi la certezza che è lei. Certo, la dimensione onirica ci mette del suo, sta di fatto che quando mi compare in sogno dopo un po’ mi sveglio con addosso un sentimento di colpa che si va ad aggiungere ai tanti altri.
È mostruosa infatti. Mi si piazza a pochi centimetri dal viso, muove quelle labbra che sembrano siliconate aprendo la bocca nel tentativo di parlare senza che io riesca a intendere quello che vuole dire. Immagino quello che stia dicendo ma non la intendo, non la sento. Nel sogno io sono immerso nel suo ambiente naturale, cosa che nella realtà non sarei in grado di fare per poco più di qualche secondo. E proprio perché sono immerso in un sogno, ho gli occhi aperti, fissi nei suoi, che sono spalancati come se a lei, e non a me, mancasse l’ossigeno necessario per respirare. Sono quegli occhi, quello sguardo che sembra voler uscire dai suoi stessi confini a farmi intuire ciò che le labbra compitano in un flusso senza soluzione di continuità.
«Cosa diavolo ti eri messo in testa?» chiede lo sguardo.
E io non ho una risposta. Scappo dal sogno, mi sveglio, con la certezza che prima o poi ritornerà a chiedermi cosa credevo di fare. Perché allora, tanti anni fa, quando la pescai dal lago, ero certo di quello che volevo fare, certo di fare una cosa buona e giusta, mentre ora che sono adulto e maturo…, ora che sono adulto, so che la mia fu pura follia giustificata solo dall’illusione di onnipotenza di un bambino.
Capitò alla vigilia della mia prima partenza per il mare, la prima partenza verso quel luogo incognito, visto fino ad allora sulle cartine geografiche. La macchina che avrebbe portato me e parte della famiglia verso le spiagge era quella di uno zio preoccupato che nessuno la lordasse dando di stomaco. Per parte mia occupai la lunga attesa della partenza accumulando lo stretto necessario alla mia sopravvivenza, un bagaglio che venne drasticamente ridotto a poche ore dall’inizio del viaggio. Era domenica pomeriggio, destinata alle operazioni di carico che per protesta lasciai agli adulti, occupando il resto del tempo con una canna di bambù in mano nel vano tentativo di catturare qualche pesce. Quando infine un’alborella decise di cedere alle lusinghe della mia esca e riuscii a sottrarla all’acqua del lago, mi domandai cosa farne e decisi di obbedire all’insano pensiero che mi nacque in testa: portarla al mare con me e farle apprezzare le delizie dell’acqua salata. Nascostamente la traslocai in un lavandino per farle trascorrere la notte e, approfittando del buio per la partenza programmata a ora antelucana, la infilai in un secchiello pieno d’acqua dolce e protetto da un coperchio bucherellato. Facendo capo a una volontà di sopravvivenza eroica che le fece superare anche l’infinita serie di curve della Cisa, l’alborella giunse sulle spiagge di Lerici e lì si compì il suo destino, quando la consegnai all’immensità del mare e a chissà quale fine. Dubito che possa essere sopravvissuta per più di qualche ora in quell’ambiente salino. Sta di fatto però che, al pari di molti altri fantasmi che mi vengono a trovare in sogno, anche lei viene a chiedermi conto delle mie azioni.
Cosa diavolo mi ero messo in testa?
Non immaginavo che anche lei, al pari di me, stava bene là dove l’Altissimo l’aveva destinata a vivere?
Non ho risposte, non so se chiedere scusa possa bastare.
Per inciso, il primo a dare di stomaco sulla Cisa fui io.
*Andrea Vitali è in libreria con il nuovo romanzo, Le belle Cece (Garzanti), che porta il lettore nella Bellano degli anni ’30…
Fonte: www.illibraio.it