Non so voi, ma io già dai primi giorni di marzo ho avuto una sensazione strana. No, non quella che ti fa chiedere “ma che diavolo sto facendo?”. Quella ce l’ho sempre avuta, anche quando la scuola era solo in presenza.
La sensazione strana derivava dalle prime lezioni a distanza: quelle in cui cercavi le coordinate, la bussola, ti barcamenavi nel gran mar de l’essere in panico totale.
Intanto che cercavi, fingevi di dare l’idea di sapere che cosa stavi facendo: e quindi, che facevi?
Andavi avanti.
Non so se è stato così anche per voi, ma per me sì, all’inizio: andavo avanti.
Facevo in videolezione quello che facevo in classe: paro paro, solo intervallato da costanti “Ehi, mi sentite?”, “Ci siete?”, “Accendi la webcam, per favore”.
Poi a un certo punto – un paio di settimane, tipo – ho capito che non si cavavano ragni dal buco, e allora ho cambiato strategia, e il cambio di strategia è corrisposto a un’azione sola: togliere.
Scegliere che cosa era veramente importante, e il resto: via. Togliere.
Quel gesto, così piccolo, all’inizio mi faceva un po’ vergognare.
Eh sì, perché ce lo abbiamo avuto tutti, quel complesso di inferiorità. Quello di quando chiedi con finta noncuranza al collega “Tu cosa stai facendo?”, e poi ti senti un impiastro assoluto quando scopri che il collega sta affrontando la perifrastica passiva. In seconda. Media.
Togliere ci sembra sempre un cosa imbarazzante. Ci fa sentire che siamo “indietro”, che non stiamo preparando a sufficienza i nostri studenti.
Questi mesi, però, ci hanno messo una bella pulce nell’orecchio, sotto forma di una domanda: sono più importanti le cose che gli diamo, o le cose che gli restano?
Perché, non so voi, ma io è da settembre che sto provando a mantenere quella rotta. Quella del togliere. E la sensazione che ho è questa: di fare molto di più.
La dad che ci ha costretti tutti a selezionare, scremare, scegliere, per poi concentrarci il più possibile solo su ciò che ritenevamo indispensabile, a rinunciare ai bombardamenti di informazioni con cui planavamo allegramente durante le ore di lezione in presenza.
E fra le tante cose che la dad ci ha tolto, forse una ci potrà restare: che togliere può essere il modo migliore per far sì che a ragazzi e ragazze resti qualche cosa di più.
L’AUTORE – Enrico Galiano sa come parlare ai ragazzi. In classe come sui social, dove è molto seguito. Insegnante e scrittore classe ’77, dopo il successo dei romanzi Eppure cadiamo felici, Tutta la vita che vuoi e Più forte di ogni addio, ha pubblicato un libro molto particolare, Basta un attimo per tornare bambini, illustrato da Sara Di Francescantonio. È tornato al romanzo con Dormi stanotte sul mio cuore, e sempre per Garzanti ora è uscito il suo primo saggio, L’arte di sbagliare alla grande (Garzanti).
Alla pagina dell’autore tutti gli articoli scritti da Galiano per ilLibraio.it.
Fonte: www.illibraio.it