Sveglio, sfrontato, esibizionista: Truman Capote (pseudonimo di Truman Streckfus Persons, New Orleans, 1924 – Bel Air, 1984) è stato uno degli autori più importanti della letteratura americana dello scorso secolo e, sebbene sia morto a soli 59 anni, ha lasciato in eredità parecchi capolavori, come A sangue Freddo e Colazione da Tiffany.
Certo, ma non solo quelli. Ha scritto tantissimi racconti, opere teatrali, saggi, reportage, sceneggiature, interviste, romanzi, spesso ricchi di frammenti della sua personalità poliedrica o di esperienze vissute – ricordiamo che è stato un vero e proprio personaggio influente, sempre presente agli eventi mondani della New York del Novecento.
Nato a New Orleans, il piccolo Truman ha sempre vissuto una sorta di dualità interna tra una maturità intellettuale arrivata troppo presto e le fattezze ancora infantili, con il suo metro e sessanta d’altezza e la sua vocina prepuberale che lo accompagnerà fino alla tomba.
Feste, interviste, party esclusivi, tour con band famosissime, film. Ma anche solitudine, droga, abbandono, autolesionismo, crisi d’identità. Capote è stato tante cose insieme: se inquadrarlo è impossibile, possiamo farci un’idea sulla sua personalità attraverso i suoi libri, in Italia pubblicati da Garzanti.
Altre voci, altre stanze (1948, traduzione di Bruno Tasso)
A sette anni Capote sapeva da tempo leggere e scrivere (aveva imparato per conto suo), era ben cosciente della sua omosessualità e soffriva l’abbandono della madre che, dopo il divorzio, se ne andò di casa, tornando a trovarlo saltuariamente o portandoselo dietro quando doveva incontrare i suoi amanti. La latitanza del padre, invece, finì nel momento in cui Truman diventò famoso, al quale continuò a chiedere soldi in prestito. In Altre voci, altre stanze, la madre del tredicenne Joel Knox muore, e il ragazzino viene spedito a New Orleans, a Skully’s Landing: una casa enorme, isolata, che sorge accanto a piantagioni e paludi. Ad attenderlo suo padre, la sua matrigna Amy e suo cugino Rudolph. Abbandono, omosessualità, solitudine: la vita dell’autore inizia ad affacciarsi, silenziosamente, nella sua poetica.
Incontro d’estate (1949, traduzione di Stefania Cherchi)
Grady McNeil è bella, ha diciassette anni e trascorre l’estate da sola, a New York. I suoi genitori sono partiti per l’Europa ed è impaziente di iniziare a vivere davvero, a entrare in quell’età adulta che, finalmente, sembra più vicina. Ma le decisioni che prenderà lungo il corso di quell’estate cambieranno radicalmente la sua vita, e segneranno per sempre il suo passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Nell’impulsività, nella malinconia e nella voglia di evadere di Grady troviamo, a ben vedere, i germogli di un altro personaggio tanto caro ai fan dell’autore.
L’arpa d’erba (1951, traduzione di Bruno Tasso)
Il piccolo Collin vive in un piccolo villaggio nel Sud degli Stati Uniti insieme alle zie Verena, irascibile e venale, e Dolly Talbo, dolce e fantasiosa. È proprio Dolly a parlargli per la prima volta dell’arpa d’erba, che porta al ragazzo le storie dei vivi e dei morti. I caratteri delle due zie esplodono addosso a Collin, che da adulto racconta, con bellezza e disincanto, i giorni dell’infanzia, passata tra il cimitero in cui soffia l’arpa d’erba e la casa sull’albero ai confini del bosco.
Colazione da Tiffany (1958, traduzione di Vincenzo Mantovani)
Holly Golightly non ha bisogno di presentazioni, o forse sì: certo, l’interpretazione di Audrey Hepburn è iconica, ma il destino della Holly di Capote è ben diverso. Holly Golightly è raccontata dal suo vicino di casa scrittore, che a distanza di anni da quando l’ha incontrata ne ricorda il fascino, la spensieratezza, la sensuale nostalgia che emanava. Una vita fatta di eccessi e sregolatezze, dalle feste nel suo appartamento ai ricchi facoltosi che frequenta, alla sua ricerca di un posto in cui sentirsi a casa, lontano dalle sue paturnie, come la gioielleria Tiffany, davanti alla cui vetrina fa colazione ogni mattina. Tra il narratore e Holly nasce presto un rapporto strano, un amore platonico forse, o un’ammirazione profonda: scoprirà che il vero nome di Holly è Lula Mae, ed è sposata con un veterinario del Texas, che si presenta di punto in bianco per portarla via. Ma la storia è appena all’inizio…
A sangue freddo (1966, traduzione di Alberto Rollo)
Nel 1959 Capote si trasferisce a Holcomb, in Kansas, per approfondire un trafiletto di cronaca nera che aveva letto sul New York Times: la famiglia Clutter, padre, madre e due dei quattro figli, era stata brutalmente assassinata. Il romanzo doveva essere un resoconto dettagliato dell’evento, pubblicato proprio su New York Times, ma la sua struttura (che calca quella del romanzo di finzione), unita ai temi trattati, hanno posto le basi perché Capote inventasse un nuovo genere letterario: il non-fiction novel, il romanzo verità. Perry Edward Smith e Richard Eugene Hickock sono da poco usciti dal carcere; vengono a sapere che a casa di Herbert Clutter, un agricoltore del Kansas, è presente una cassaforte. Durante la rapina uccidono tutti i membri della famiglia presenti in casa, scappano, latitano per un poco e, grazie a una soffiata, vengono arrestati sei settimane dopo. Il romanzo nasce dalla frequentazione di Capote con i due assassini: l’incontro con i due, in particolare con Perry Smith, segnò profondamente l’esistenza di Capote, e la critica non fu priva di polemiche: Capote fu addirittura accusato di voyeurismo. Oltre a essere il capolavoro dell’autore, A sangue freddo è anche l’ultima opera che porta a termine.
Bare intagliate a mano (1980, traduzione di Marco Rossari)
A maggio 2024 Garzanti propone una nuova edizione di Bare intagliate a mano di Truman Capote, tradotto per l’occasione da Marco Rossari. Pubblicato nel 1980 in quella “smagliante autoantologia” che è Musica per camaleonti, Bare intagliate a mano è stato a lungo considerato, complice un sottotitolo che recita “cronaca vera di un delitto americano”, solo un remake di A sangue freddo, il capolavoro con cui Capote: ma in questo racconto c’è più finzione che reportage… La trama? Un raccapricciante delitto scuote la sonnolenta provincia americana. In una anonima cittadina di un piccolo stato dell’Ovest una coppia viene trovata morta, uccisa da nove serpenti a sonagli drogati con anfetamine. È l’inizio di una sequenza di efferati omicidi accomunati da un macabro copione: il killer prima di colpire spedisce un avvertimento alla vittima, una piccola bara di legno intagliata a mano che racchiude all’interno una fotografia…
I cani abbaiano (1966, traduzione di Mariapaola Ricci Dettore)
Per chi volesse approfondire gli aspetti autobiografici di Capote, I cani abbaiano è la scelta giusta. Scritto a metà tra un diario segreto e una sorta di confessionale, il volume raccoglie alcune delle sue esperienze più significative, tra autobiografia e autofiction. Un’intera panoramica di quella mondanità del Novecento dal punto di vista storico, culturale e artistico, racchiusa in 400 pagine.
Musica per camaleonti (1973, traduzione di Mariapaola Ricci Dettore)
Bisogna attendere fino al 1973 per avere la prima raccolta di scritti di Capote. Musica per camaleonti raccoglie materiale saggistico, cortometraggi e interviste di Truman, che coprono circa quattordici anni. Finzione, pettegolezzi, esperienze vissute si fondono in quest’opera variegata, divisa in tre parti: dopo le prime due, che raccolgono storie prettamente crime, la terza raccoglie alcune conversazioni con alcuni dei nomi eminenti dell’epoca, da Marilyn Monroe a Pearl Bailey. L’anima americana, con tutte le sue contraddizioni, viene fuori molto bene nei saggi: come abbiamo anticipato, dopo A sangue Freddo Capote ha cambiato drasticamente stile di vita, evitando le feste mondane e chiudendosi in una febbrile solitudine, prolifica per la sua attività di scrittore.
Preghiere esaudite (1987, postumo, traduzione di Ettore Capriolo)
Il progetto era quello di scrivere un romanzo memorialistico che avrebbe rappresentato l’élite newyorkese contemporanea, attraverso un incastro di voci, interviste, testimonianze e ricordi, pubblici o privati, di personaggi ricchi e famosi, che Capote frequentava e ben conosceva. Concepito nel 1958, il lavoro è incompleto ed è stato pubblicato postumo. Come suo solito, l’opera oscillava tra fiction e non-fiction, raccontando scabrosità, perversioni, scandali, stravizi e quant’altro di personaggi ben noti al pubblico, senza trascurare casi di cronaca nera statunitense. Vi sono riferimenti a Greta Garbo, Sartre, Colette, Wallace Shawn e molti altri. La reazione è prevedibile: Capote fu bandito da praticamente tutte le sue frequentazioni. I progetti per quest’opera erano enormi, ma i problemi con la droga, i tranquillanti e l’alcol presero il sopravvento. Il resto del manoscritto è avvolto nel mistero: chissà se è stato scritto e distrutto, o conservato da qualche parte, o mai esistito.
La forma delle cose: tutti i racconti (2004)
Ultimo, ma non ultimo, La forma delle cose. Il volume raccoglie 22 racconti, da quelli giovanili ad altri testi pubblicati ma difficili da reperire, inediti compresi. Dai racconti si evince una delle caratteristiche fondamentali della scrittura di Capote: la propensione alla ritrattistica, di situazioni, di persone, di intere società, di sensazioni. Uomini e donne, giovani, adulti, coppie di amanti, campagna e città, estati e inverni: qualsiasi dicotomia è presente, anche se la maggior parte dei racconti spaziano nel Sud degli Stati Uniti. Sebbene non ci sia un vero e proprio filo conduttore, certamente nei racconti sono riscontrabili alcuni temi universali, come la solitudine, l’amore non corrisposto o annoiato, la malinconia.
Fonte: www.illibraio.it