“Di questi tempi” oppure “al giorno d’oggi” sono espressioni che indicano ogni volta qualcosa di negativo, che si parli dei giovani come della politica, della famiglia o del lavoro.
Si avverte spesso un rimpianto diffuso per i “bei tempi” andati, per un passato che è sempre più felice del presente, e che non ritornerà più, come la moda e le canzoni di una volta. Ma il biblista Alberto Maggi, con la sua gioia contagiosa, ci dimostra che questa nostalgia non ha ragion d’essere, e che invece si può e si deve vivere serenamente il presente e andare incontro fiduciosi al futuro. Perché infinite sono le piccole e grandi bellezze che costellano la nostra esistenza ma che troppo spesso ci ostiniamo a trascurare.
Grazie alle riflessioni raccolte nel suo nuovo libro, Di questi tempi, in libreria dal 31 maggio per Garzanti (i contributi raccolti nel volume sono apparsi sul sito ilLibraio.it, con cui lo stesso Maggi collabora assiduamente, ndr), il lettore riscoprirà la voglia e la capacità di aprire gli occhi e il cuore, così da saper accogliere le novità come opportunità e non come pericoli.
Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci» a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere. Ha pubblicato, tra gli altri: Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita, Roba da preti; Nostra Signora degli eretici; Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede); Parabole come pietre; La follia di Dio e Versetti pericolosi e L’ultima beatitudine – La morte come pienezza di vita.
Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo la prefazione dello stesso Maggi:
«Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite» (Mc 8,18) è il rimprovero di Gesù ai suoi ottusi discepoli, colpevoli di avere uno sguardo limitato, incapaci di guardare al di là del proprio meschino interesse («discutevano fra loro perché non avevano pane», Mc 8,16) e quindi impossibilitati a vedere gli sconfinati orizzonti verso i quali li vuole condurre il loro Maestro. È lo stesso richiamo che si ritrova nei Salmi (Sal 115,5; 135,16), e che avevano rivolto al popolo profeti come Geremia (Ger 5,21) ed Ezechiele (Ez 12,2). Ovviamente l’ammonizione di Gesù e dei profeti non riguarda una deficienza della vista, ma la capacità di leggere e interpretare le situazioni della vita.
Chi pur avendo occhi non vede, spesso è vittima – e nello stesso tempo complice – di un sistema di potere che per sottomettere le persone deforma a tal punto la capacità di comprensione che riesce a persuaderle e far credere loro che aglio e cipolle siano in realtà latte e miele, proprio come era successo agli Ebrei in Egitto, che non avevano alcuna intenzione di abbandonare la terra di schiavitù, fermamente convinti che cipolle e aglio, che erano garantiti e che avevano a volontà (Nm 11,5), fossero il latte e il miele della terra promessa (Es 3,8). Per questo non ne vogliono sapere di seguire Mosè, e si rivoltano contro il loro liberatore: «È troppo poco per te l’averci fatto salire da una terra dove scorrono latte e miele per farci morire nel deserto?» (Nm 16,13).
Queste pagine vogliono essere un invito a osservare i fatti della vita con gli occhi del vangelo, lasciandosi orientare dalla buona notizia di Gesù che ha definito sé stesso «luce del mondo» (Gv 8,12; 9,5), assicurando che quanti lo seguono non camminano nelle tenebre. Quando si accoglie il vangelo la realtà si osserva con occhi diversi, e di conseguenza si affrontano le peripezie della vita con più determinazione, sicurezza e serenità. Non che cambino gli eventi del mondo, ma c’è una capacità di leggerli e viverli in profondità, senza lasciarsi mai sopraffare da quel che accade. Così, quando a volte il male sembra dilagare, non si innescano sentimenti distruttivi di rancore e di odio, ma si liberano inedite energie di bene trasformando la rabbia in compassione («Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene», Rm 12,21).
La fede e il cammino del credente si basano sull’assicurazione di Gesù: «Coraggio: io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33). Queste parole del Signore precedono di poco la sua cattura, tortura e morte infamante: come può dire che ha vinto il mondo, quando in realtà apparirà come uno sconfitto («Ha salvato altri e non può salvare sé stesso!», Mt 27,42)? Quella di Gesù non è una promessa di vittoria futura, ma una constatazione del presente. Il Cristo assicura che quanti si pongono a fianco della vita, della verità e della luce saranno sempre vincitori sulla morte, sulla menzogna e sulla tenebra (Gv 1,5). Questa assoluta certezza di Gesù aiuta a interpretare e a discernere gli avvenimenti che si succedono nella vita, fidandosi di un Padre che ai suoi figli non manda pietre che schiacciano, ma solo pane che alimenta la loro esistenza (Mt 7,9). Ciascuna vita è preziosa agli occhi di Dio e ogni persona è frutto del progetto del Creatore che ha scelto le sue creature ancora «prima della creazione del mondo» (Ef 1,4) per manifestarsi attraverso di esse in forme inedite e creative di amore, tenerezza e compassione.
Saper leggere la storia con lo sguardo di Dio, che non guarda l’apparenza, ma il cuore delle persone (1 Sam 16,7; Sal 147,10-11), aiuta a collaborare all’azione creatrice per far fiorire il bene là dove c’è il male, nella certezza che il Padre tutto volge al bene (Rm 8,28) e che anche le situazioni più difficili possono trasformarsi in opportunità di crescita e occasioni di ricchezza. Per questo lo sguardo dei vangeli è proteso in avanti, a quel che viene, verso un presente che resta invece precluso a chi guarda al passato («Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?», Is 43,18-19; Ap 21,5). La buona notizia di Gesù, una volta che viene accolta e diventa la bussola di riferimento della vita, aiuta il credente a saper individuare la «porta stretta» del vangelo, quella che conduce alla pienezza della vita (Mt 7,13-14). Gesù non afferma che sia difficile passare per questa porta, ma che sono pochi quelli che la vedono, sedotti dalla porta larga e spaziosa, certamente più appariscente, ma che trascina alla perdizione, alla mancata maturazione e realizzazione della propria persona.
L’accoglienza e la pratica del messaggio di Gesù nella vita mettono inoltre la persona in costante sintonia con l’onda d’amore del Padre che mantiene in vita l’universo, e aiutano l’uomo a orientarsi nel suo cammino, districandosi tra i tanti inganni che il sistema di potere continuamente escogita per intrappolare e sottomettere. A mano a mano che le parole di Gesù mettono radici nel profondo dell’uomo, ne trasformano la vita, e sviluppano nel credente particolari antenne sensibili, che gli permettono di fiutare in anticipo la nefasta presenza di falsi maestri (2 Pt 2,1), lupi rapaci travestiti da agnelli (Mt 7,15), di cogliere prontamente l’inganno delle loro parole vellutate («Più untuosa del burro è la sua bocca, ma nel cuore ha la guerra; più fluide dell’olio le sue parole, ma sono pugnali sguainati», Sal 55,22) che portano mor te e distruzione. E il compito del credente – da vero profeta del Signore, non solo nella Chiesa ma nella società – è quello di essere la sentinella che avverte in anticipo del pericolo («Figlio dell’uomo, ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele», Ez 3,17; 33,7) e così smascherare tempestivamente le lusinghe e le seduzioni dei falsi «profeti d’Israele che profetavano su Gerusalemme e vedevano per essa una visione di pace, mentre non vi era pace» (Ez 13,16).
I cattolici sono stati educati a credere che «Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo» (Catechismo di san Pio X), ma forse non sono stati dati loro gli strumenti per sperimentare questa presenza divina nella loro vita. A che serve credere che Dio è Padre se poi non lo si sperimenta tale?
L’accoglienza del vangelo serve proprio a questo, a scoprire che c’è una presenza divina che avvolge e accompagna, segue e precede il cammino dell’uomo («Io sono con voi tutti i giorni», Mt 28,20), e che, quando viene percepita, lo fa esclamare, come lo stupito Giacobbe: «Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo» (Gen 28,16).
Fonte: www.illibraio.it