di Andrea Vitali
Severa Bordigò sapeva che sarebbe accaduto e non sbagliò. Una settimana prima di Natale suo figlio Misterio le telefonò per invitarla a casa sua.
Sino all’anno prima era andata al contrario, ma c’era anche il papà, l’austero Spino, volato via all’inizio di gennaio lasciando sola Severa. Bisognava, secondo Misterio, dare una cornice nuova al natale, onde evitare troppe tristezze e troppi ricordi.
Severa prese tempo.
Da quando era rimasta vedova aveva stretto amicizia con la sua dirimpettaia Tripolina, vedova anche lei da anni. Un’amicizia, addirittura un’alleanza fondata sulla gola. La Tripolina quasi non campava che di dolciumi, la Severa, pur desiderandolo, aveva cominciato a nutrirsene scriteriatamente da che era rimasta sola: prima il rigore alimentare dell’algido marito glielo aveva sempre impedito. E per il Natale che si stava avvicinando le due vedovelle avevano stabilito un golosissimo programma che la telefonata, prevista quanto temuta, del figlio di Severa rischiava di mandare all’aria.
A quella prima telefonata quindi Severa rispose stando sulle generali.
«Vediamo… ci penserò…»
«Ma perché mai ci devi pensare?», obiettò il figlio.
«Sono vecchia, sono stanca… e poi siamo così lontani…»
«Ma se non devi fare niente, ti vengo a prendere io, ti riporto io!»
«Vi darei solo fastidio…cosa vuoi che mangi!»
«Ma mamma! Cosa significa? Cosa vuoi che importi quello che mangi, l’importante è stare tutti assieme!»
Severa sospirò. Suo figlio aveva ragione. Per indurlo a lasciar perdere l’invito bisognava cambiare tattica.
«Ci penserò», chiuse, «va bene?»
«Va bene», ribatté Misterio, «ma solo se mi risponderai sì».
«Ci sentiamo», salutò Severa.
E subito volò dalla vicina, nella cucina della quale le due indissero immediatamente una riunione operativa per studiare contromisure.
La Tripolina aveva una discreta esperienza nell’invenzione di trucchi e scuse per evitare di andare dai parenti e anche che l’andassero a trovare.
«Inventati una malattia», consigliò.
A lei, con le malattie, era sempre andata di lusso, anche perché aveva un figlio che le temeva tutte, senza eccezioni: una volta era riuscita a tenerlo lontano da casa raccontandogli che era a letto per una distorsione alla caviglia.
«Si può essere più stupidi?», chiese.
Come se una distorsione fosse una malattia infettiva!
Severa rise.
Però, disse, suo figlio non era così, anzi.
«Se avessi detto una cosa del genere a Misterio, avrebbe noleggiato un elicottero per venirmi a prendere».
«Be’», fece la Tripolina, «se le cose stanno così bisogna inventarsi qualcosa di speciale».
E per stimolare la fantasia criminale di entrambe mise sul tavolo una scatola di amaretti che cominciarono subito a sgranocchiare.
Dieci minuti e nella scatola ne rimase uno solo, quello della cosiddetta cortesia.
Per non fare torto a nessuno Severa propose di darlo a Timmi, il cagnolino della sua amica.
«Meglio di no», disse quella.
Secondo il veterinario Timmi era affetto da diabete.
«Diabete in un cane?», si stupì Severa.
«L’età. Anche loro la patiscono», commentò Tripolina.
«Incredibile!», sbottò Severa.
«Purtroppo», fece Tripolina.
«Macché purtroppo!», esultò l’amica, «Meno male!»
La Tripolina la guardò, non capiva.
«Ti spiego», disse Severa.
Il diabete era la scusa giusta.
Tra tutte le brutte cose dovute a quella malattia…
«Mangiare poco niente, fare la pipì ogni due minuti, pannoloni eccetera eccetera, perdere la memoria…»
…c’era anche il calo della vista!
«E allora?», chiese la Tripolina.
«Allora lascia fare a me», rispose Severa.
Un dipinto di Giancarlo Vitali
Tre giorni prima di Natale Misterio tornò alla carica.
Il tono di voce era calmo ma deciso. Severa comprese che non avrebbe accettato esitazioni, incertezze. Era il momento di sparare la botta del diabete e lo fece.
Il figlio rispose dapprima con un lungo silenzio.
«Ci sei?», chiese la madre soddisfatta, il colpo aveva preso nel segno.
C’era.
Ma aveva avuto bisogno di un po’ di tempo per incassare la novità.
«Ma da quando?», chiese poi.
Più o meno un anno, fu la risposta.
«Un anno?»
E non gli aveva detto niente?
Nonostante fosse andato a trovarla non appena poteva, anche se erano così distanti, nonostante le telefonate a scadenza quasi settimanale?
«Per non preoccuparti», si giustificò Severa.
«Ma che razza di ragionamento è?», obiettò il figlio.
Severa rifletté che era giunta l’ora di mettere sul tavolo il carico che avrebbe volto la partita a suo favore: non per niente aveva studiato per bene quella malattia.
«C’è un’altra cosa», disse.
E fece una pausa ad effetto cui Misterio rispose proprio come lei si aspettava.
«Cosa?», soffiando nella cornetta la domanda sulle ali di un respiro che si era accelerato improvvisamente.
«Vedo poco e male ormai», chiarì.
«Ma come…», balbettò il figlio, «ma se l’ultima volta…»
«Dall’ultima volta sono passati più di tre mesi», osservò Severa.
E alla sua età certi acciacchi viaggiavano alla velocità della luce.
Ormai, disse, aveva limitato le uscite da casa e quelle poche le faceva accompagnata. Fortunata in ciò, perché aveva trovato nella sua vicina di casa un’amica fedele, una guida sicura, una compagnia affidabile.
«Passiamo un sacco di tempo assieme», disse Severa.
«Ma…», cercò di interloquire Misterio.
«Non ti devi preoccupare per me», lo tranquillizzò la madre, «con la Tripolina non sarò sola il giorno di Natale».
Misterio sbottò in un’esclamazione.
«Non se ne parla!», disse poi.
Sua madre doveva passare con lui il giorno di Natale!
«Ma non posso lasciare sola la Tripolina dopo tutto quello che fa per me! Piantarla in asso proprio a Natale? Sarebbe una vigliaccheria, lo capisci o no?»
Misterio capiva.
«Capisco perfettamente», disse.
E aveva anche la soluzione.
«Venite entrambe da me».
«Tutte e due?», chiese Severa.
«Esatto. Così nessuno starà solo il giorno di Natale».
«L’amore dei figli può essere fastidioso», sentenziò la Tripolina nell’apprendere la notizia.
Soprattutto quando la dieta base dei figli come il suo, aggiunse Severa, comprendeva tonno all’acqua, sale iposodico e saccarina come dolcificante!
Tripolina sorrise: avrebbe voluto dare al suo sorriso una piega amara ma la passione per i dolci non glielo consentì, sorrise e basta.
Accidenti, come sua abitudine era riuscita a schivare l’invito del proprio figlio ed ecco che si trovava invischiata in quello del figlio della sua dirimpettaia.
«Comunque verrò con te, non temere», disse, «non ti lascerò sola».
Anzi, non solo non l’avrebbe abbandonata in quella difficile contingenza. Ma, conoscendo la stitichezza alimentare del Misterio, eredità paterna, quale ospite si sarebbe portata appresso uno di quei deliziosi, addirittura lussuriosi panettoni ripieni che la maggior pasticceria artigianale della città confezionava solo per Natale.
Una bomba di zuccheri ripiena di ogni ben di dio, panna, cioccolato fuso e in scaglie, canditi e quant’altro.
Non sarebbe stato Natale infatti senza un ospite siffatto sulla tavola.
Il gruppo giunse a destinazione nelle prime ore del pomeriggio della vigilia di Natale.
Severa indossava un paio di occhiali scuri: consiglio espresso della Tripolina che, stante ciò che la sua amica aveva raccontato al figlio, le aveva detto che non poteva esimersi dal sostenere la parte.
«Non staccarti quasi mai dal mio braccio, chiedi spesso di andare in bagno e non mollare mai gli occhiali», le aveva detto.
Circa le inevitabili domande su pastiglie e controlli, l’aveva istruita seguendo i consigli che il veterinario le aveva dato per la salute di Timmi.
«Tamponiamo la situazione, poi per il futuro si vedrà».
Ad accogliere le ospiti c’erano la moglie di Misterio, Efesa, e la figlioletta di otto anni, Scurita che, dotata di una lingua tanto lunga quanto indomabile, vedendo la Tripolina chiese perché mai la befana avesse anticipato la venuta di Babbo Natale.
Tripolina sorvolò sulla battuta.
Per tutta risposta sollevò il panettone che reggeva in mano.
«Perché come tutte le donne del mondo la Befana si preoccupa che i suoi uomini abbiano da mangiare e al Babbo, la notte della vigilia, non deve mai mancare il panettone!»
A quell’uscita lo sguardo di Efesa si puntò sul marito.
« Panettone?», disse.
Misterio sollevò le spalle.
Che ne sapeva lui di quello che l’amica di sua madre s’era portata appresso!
Con gesto di rapina che sorprese tutti e per prima la povera Tripolina che ancora stava col panettone per aria, Efesa se ne impossessò.
«Considerate le circostanze», disse, « avevamo già deciso di adattarci alla nuova situazione che si è venuta a creare».
Severa guardò il figlio.
Come diavolo parlava sua moglie?
«Significa», spiegò Misterio, « che da quando ci hai detto della… insomma, sì, della malattia, abbiamo deciso di essere solidali con te».
Fu la volta di Tripolina a guardare l’amica.
«Tu hai capito cosa sta dicendo?»
«Sinceramente no», rispose Severa.
Toccò a Scurita parlar chiaro.
«La mamma e il papà hanno deciso che per questo Natale non si mangiano dolci. Niente panettone né torrone né altre cose, fino a quando voi due rimanete qui!»
Misterio intervenne cercando di addolcire la spiegazione della figlia.
«Per non metterti in difficoltà mamma, evitare le tentazioni», disse.
Anche lui, come lei, aveva studiato a fondo la malattia e aveva preso le sue belle contromisure.
«In fondo, quello che conta a Natale è restare tutti insieme. O no?», fece Efesa.
«Sì», rispose la Tripolina per nulla convinta.
Ma, il suo panettone?
«Ci penso io», rispose la padrona di casa.
Poi allungò il panettone alla figlia dicendo:
«Nascondilo tu, dove vuoi, e non dirlo a nessuno».
E la Tripolina rifletté che agendo così la padrona di casa aveva messo al sicuro il suo dono: la piccola Scurita aveva già dimostrato di essere una carogna nata. Avrebbe nascosto il panettone e tenuto il segreto.
A meno che…
Cenetta leggera.
Minestrina, prosciutto cotto, mozzarella.
Pane, poco e senza sale.
Niente caffè.
D’altronde non bisognava appesantirsi in previsione del pranzo natalizio.
Pensando al quale sia alla Severa che alla Tripolina veniva un po’ di magone. Più alla Severa, in verità, perché si dispiaceva di aver tirato in quell’avventura insipida e dietetica la sua amica. La quale invece, veterana di molte battaglie, anziché lasciarsi andare alla malinconia della sconfitta, aveva passato le ore dell’ultimo pomeriggio e della parca cena meditando offensive.
Approfittando di una delle tante richieste dell’amica per usufruire dei servizi, verso i quali la Severa andava accompagnata come da copione e approfittando di quell’intimità per maledire sé stessa e il guaio in cui aveva cacciato anche la sua amica, la Tripolina le sussurrò una cosa all’orecchio.
«Perché?», volle sapere Severa.
«Tu fallo», rispose la Tripolina, e non diede altre spiegazioni.
Il dopocena fu televisivo. L’ideale per conciliare il sonno.
Oddio, le due vedovelle quand’erano sole, in casa dell’una o dell’altra, erano capaci di tirar la mezzanotte, sgranocchiando torroncini o succhiando tocchetti di cioccolato e sfidandosi in estenuanti partite a scala quaranta.
Non erano manco le dieci invece quando Severa dichiarò di non poterne più dal sonno e la Tripolina, badante sempre all’erta, aggiunse che nessuno della famiglia doveva disturbarsi ad accompagnarla: avrebbe pensato lei a tutto, preparandola per la notte e infilandola nel letto, anche perché erano sistemate entrambe nella stessa camera.
Misterio guardò sua madre che, con fatica, si alzò dalla poltrona. Nel buio della saletta e con quegli occhiali scuri gli fece un po’ di pena. Pure la voce, forse perché era stanca, aveva una nota malinconica.
Tant’è che quando disse:
«Verrai a darmi il bacio della buonanotte?», rivolta alla nipotina, fu lui a rispondere:
«Ma certamente!»
E alla bambina, che mai l’avrebbe fatto, toccò obbedire alla volontà paterna.
Suonavano le undici e la sigla di un programma televisivo ormai finito quando Scurita entrò nella camera delle due donne. Sperava di trovarle addormentate perché non le piaceva affatto l’idea di schioccare baci sulle guance avvizzite dell’una e magari anche dell’altra.
«Ma brava che sei venuta», l’accolse invece la voce di nonna Severa.
«Sì, ma non ho molto tempo», rispose acida la bambina.
«Be’», fece Tripolina, «stando così le cose non ti voglio trattenere. Si vede che sai tutto sulle abitudini di Babbo Natale».
Scurita sorrise.
«Cosa c’è da sapere che già non so?», disse.
Aveva scritto la letterina con l’elenco di tutti i regali che voleva, usando la miglior grafia che le riusciva, l’aveva indirizzata al Polo Nord, aveva anche assicurato il Babbo che era stata brava a scuola e buona con mamma e papà.
Cos’altro c’era da sapere?
«Tutto lì?», fece la Tripolina, «Non ti hanno detto altro?»
« Cosa avrebbero dovuto dirmi oltre a quelle cose che già so?», si impermalì Scurita.
«La cosa più importante», chiarì Tripolina.
Quella che non tutti potevano sapere.
Tripolina abbassò il tono della voce.
«Babbo Natale è goloso!»
«Goloso?», sbottò la bambina.
«La pancia», chiese Tripolina, «come gli è venuta secondo te?»
«Non ci avevo pensato», mormorò Scurita.
E gli uomini, da che mondo è mondo, si prendevano per la gola!
Lo lasciasse dire a lei che era una specie di Befana!
«Quando anch’io scrivevo le mie letterine a Babbo Natale», spiegò Tripolina, «ottenevo sempre qualche regalo in più prendendo il Babbo per la gola».
Sotto l’albero metteva biscotti, fette di torta, tocchetti di cioccolato. Il Babbo vedendo che in quella casa c’era una bambina che gli voleva particolarmente bene si inteneriva e lasciava qualche dono in più, sottraendolo a quei bambini che invece non si curavano minimamente di lui.
«Davvero?», interloquì Severa che aveva seguito il racconto sbarrando gli occhi dietro le lenti scure degli occhiali.
Tripolina evitò di risponderle. Continuò invece a rivolgersi alla bambina.
«Ora lo sai», disse.
«Già», rispose la bambina, «e cosa me ne faccio?»
Grazie all’arrivo di loro due la mamma e il papà avevano fatto sparire ogni tipo di dolce dalla casa e figurarsi quindi se ne avevano comperati!
«C’è poco da fare, non vi pare?», concluse Scurita.
«Tutt’altro!», fece Tripolina.
«Esatto!», si associò Severa che aveva compreso finalmente dove la sua amica volesse andare a parare.
C’era il panettone che loro avevano portato, che lei aveva nascosto e che lei sola sapeva dove fosse.
«Non ci avevo pensato», fece la bambina.
«Noi sì», dissero in coro le due vedovelle.
E avevano pensato anche a come fare affinché Babbo Natale avesse la sua parte di dolce quella notte e la bambina qualche regalo in più.
Scurita strinse gli occhi.
«Ditemi».
E Tripolina passò a illustrarle il piano.
Secondo le istruzioni dopo aver, nonostante tutto, dato un bacio alla nonna e alla sua amica, diede la buonanotte anche a mamma e papà e si mise a letto, determinata a non addormentarsi.
Doveva aspettare che nella casa regnasse la calma più assoluta, il silenzio del sonno di tutti. Solo allora doveva entrare in azione.
E lo fece quando, spentisi i misteriosi rumori che i suoi genitori fecero per un po’ (forse la mamma aveva sparecchiato e lavato i piatti mentre il papà aveva riordinato la saletta dove avevano cenato), partì in missione. Il panettone stava al sicuro sotto il suo letto. Lo prese e lo tenne con sé per un po’, carezzandolo come se fosse una bambola, fino a quando fu certa che nessuno in quella casa fosse ancora sveglio. Uscì quindi dal letto e camminando sulle punte dei piedi nudi raggiunse la saletta dove c’era l’albero impreparata alla sorpresa che trovò.
Babbo Natale era già passato, sotto l’albero c’erano già i regali.
Li contò.
Cinque ne aveva chiesti, cinque erano i pacchetti che aspettavano di essere aperti.
«Accidenti!», mormorò.
Aveva perso un’occasione d’oro.
Anche il Babbo tutto sommato l’aveva perduta passando da casa sua così presto, senza darle il tempo di mettergli a disposizione il panettone.
E adesso?, si chiese.
Adesso, si rispose, non c’era altro da fare che ritornare a letto e rimettere a posto il panettone, non poteva certo correre il rischio di passare per disobbediente se sua madre o sua padre si fossero accorti che aveva rotto la consegna di nascondere il panettone.
Così fece, senza però riuscire più a prendere sonno, un po’ per la delusione di aver perduto un’occasione d’oro e un po’ per l’agitazione di sapere che i regali erano già arrivati dovendo però pazientare ancora qualche ora prima di poterli scartare.
Fu quindi grazie a quel dormiveglia ansioso e ricco di pensieri che a un certo punto Scurita avvertì un sommesso chiacchiericcio e fruscii di passi.
Il pensiero volò immediatamente a Babbo Natale.
Che per una ragione qualunque fosse ritornato sui suoi passi?
Fosse stato così, non poteva perdere l’occasione. Ripreso il panettone dal suo nascondiglio si avviò, camminando sempre sulla punta dei piedi, alla volta della saletta, emozionata all’idea di poter offrire direttamente a Babbo Natale una squisitezza che le avrebbe fatto guadagnare chissà quanti altri regali.
Dalla soglia della saletta guardò in direzione dell’albero.
C’era in effetti una figura che si muoveva nel buio, ma non era di sicuro il Babbo.
Magra e gobba come appariva, assomigliava molto più alla Befana.
E cosa ci faceva lì, cosa cercava, perché era passata così in anticipo?
La Tripolina, uscita alla ricerca del panettone cui sperava di fare la festa insieme con la sua amica Severa, avvertì alle sue spalle il respiro della bambina e si girò.
«Sei la Befana?», chiese Scurita con una nota di esitazione nella voce.
Tripolina non se la sentì di dire la verità.
«Sì», confermò.
«Be’», fece la bambina, «se sei proprio lei, fammi una cortesia. Quando ti capita di vedere Babbo Natale, digli che mi dispiace, sarà per l’anno prossimo adesso che conosco i suoi gusti».
«Ah sì»?, fece la Tripolina.
Poi, nel buio della casa, vide brillare un sorriso con qualche buco.
«E se invece non sei la Befana», parlò quel sorriso, «dillo a chi ti pare».
«E cosa dovrei dire?», chiese la Tripolina.
Scurita riprese la strada della sua camera.
«Che gli uomini si prendono per la gola», disse mentre se ne andava.
«E i bambini non si prendono in giro», mormorò prima di prendere finalmente sonno
.
Un dipinto di Giancarlo Vitali
Fonte: www.illibraio.it