Enrico Galiano, nato a Pordenone nel 1977, insegnante in una scuola di periferia, è uno degli professori italiani più noti sui social, oltre che uno scrittore di successo (per Garzanti ha già pubblicato Eppure cadiamo felici, Tutta la vita che vuoi, Più forte di ogni addio, Dormi stanotte sul mio cuore, Basta un attimo per tornare bambini e L’arte di sbagliare alla grande).
Galiano, assiduo collaboratore de ilLibraio.it, torna ora in libreria con Felici contro il mondo (Garzanti), il tanto atteso seguito del suo romanzo d’esordio, Eppure cadiamo felici.
Ritroviamo quindi il personaggio di Gioia, che ha sempre pensato ci fosse una parola per dare un senso a tutto. Dove quelle che conosceva non potevano arrivare, c’erano quelle delle altre lingue: intraducibili, ma piene di magia. Ora, però, il quaderno su cui appuntava quelle parole giace dimenticato in un cassonetto. Gioia è diventata la notte del luminoso giorno che era: ha lasciato la scuola e non fa più le sue chiacchierate, belle come viaggi, con il professore di filosofia, Bove. Neanche lui ha le risposte che cerca. Anzi, proprio lui l’ha delusa più di tutti. Dal suo passato emerge un segreto inconfessabile che le fa capire che lui non è come credeva.
Gioia non ha più certezze e capisce una volta per tutte che il mondo non è come lo immagina. Che nulla dura per sempre e che tutti, prima o poi, la abbandonano. Come Lo, che dopo averla tenuta stretta tra le braccia ha tradito la sua fiducia: era certa che nulla li avrebbe divisi dopo quello che avevano passato insieme. Invece non è stato così. Gioia non può perdonarlo. Meglio non credere più a nulla.
Eppure, Lo e Bove conoscono davvero quella ragazza che non sorride quasi mai, ma che, quando lo fa, risplende come una luce; quella che, ogni giorno, si scrive sul braccio il verso della sua poesia preferita. Che a volte cade eppure è felice. È quella la Gioia che deve tornare a galla. Insieme è possibile riemergere dal buio e scrivere un finale diverso. Insieme il rumore del mondo è solo un sussurro che non fa paura.
Per gentile concessione della casa editrice, su ilLibraio.it pubblichiamo un estratto del libro:
Gioia apre la porta della camera.
Da quella stessa porta, solo un’estate prima, aveva visto il suo ragazzo disteso sul letto, quando ormai pensava di averlo perso per sempre.
Il suo ex ragazzo, a dire il vero.
Che impressione le fa, quel ricordo. La felicità incontenibile di vederlo lì, nel momento in cui credeva fosse finito tutto. La notte passata insieme, la sensazione che niente sarebbe finito mai. E invece, poco dopo, era finito tutto.
Ci sarebbe anche una parola, per descrivere questa sensazione: anagapesis, che in inglese significa “quando ti rendi conto che non ami più qualcuno che una volta amavi”.
Basterebbe andare a vedere dentro il suo quaderno con le parole, se non fosse che Gioia lo ha buttato via lo stesso giorno in cui ha visto Lo per l’ultima volta. L’ultima prima di oggi.
Quel giorno aveva sentito dentro di sé che aveva sbagliato tutto, che tutto quello in cui aveva sempre creduto era una bugia, un errore, uno stupido correre dietro a favole che non stanno in piedi, e così aveva fatto volare il quaderno in un cassonetto, vicino a un mucchio di cartacce e di immondizie. E insieme a una noce.
Gioia Spada era una ragazza che ci credeva, una volta. Adesso è diventata la notte di quel giorno che era un tempo. Succede. La vita ti fa anche questo, a volte.
È una faccenda complicata: quando era bambina era sicura che da grande avrebbe avuto tutte le certezze che cercava. Adesso che è cresciuta, si è resa conto che ne aveva molte di più, da piccola.
Il mondo era un posto diverso, prima di entrarci per davvero: era possibilità, era un foglio bianco da scrivere, una pellicola tutta da impressionare con la sua luce. Le sono bastate poche foto per vedere che la maggior parte escono sfocate, mosse, scure. Un po’ come quell’altra parola, Brillenbrillanz, che in tedesco significa “l’improvvisa sensazione di vederci chiaro dopo che indossi un paio di occhiali nuovi”. Ecco, Gioia prova la Brillenbrillanz, ma al contrario: da un po’ di tempo, è come se le avessero tolto gli occhiali. Vederci, ci vede: ma non riesce più a mettere a fuoco le cose.
«Meglio che mi metta a fare qualcosa di utile, va’», dice, buttando i vestiti sulla sedia.
Gioia si siede sul letto, prende un pennarello rosso e un giornale e inizia a leggere gli annunci.
«Cameriera con esperienza, commessa con esperienza, addetta alle pulizie con esperienza…» legge a fil di voce. E guardando quegli annunci con la penna fra le labbra dice: «Ma come cavolo fai a fare esperienza, se nessuno ti assume senza esperienza?».
Una volta a questa domanda avrebbe sentito una voce rispondere. Non solo, avrebbe visto una ragazza coi capelli corti e la faccia simpatica aggirarsi per camera sua sproloquiando: la faccia della sua amica immaginaria Tonia. Da un po’ è sparita anche lei, nel nulla, e la cosa a Gioia non è nemmeno dispiaciuta tanto: si sentiva davvero troppo strana a parlare da sola in una stanza con una ragazza che c’era solo nella sua testa. Era ora di crescere, di diventare grandi. Darci un taglio con quella Gioia che viveva per il novantacinque per cento del tempo nel mondo della sua fantasia e il restante cinque in quello della realtà. Perché ad andare dietro alla sua iperattività immaginativa aveva trovato solo guai, e l’unico vantaggio che la sua fervida fantasia le aveva dato era la capacità di inventare bugie e renderle credibili.
Gioia intanto si rimette alla ricerca di un annuncio che le dia almeno lo spiraglio per fare una telefonata.
“Però potrei sempre chiamare quel posto da cameriera e fingere, no? Dire, che ne so, che ho lavorato nel bar di mio zio o cose così!” pensa, ma prima ancora di buttare l’occhio sul telefono si risponde da sola: “Certo, e poi con le mie solite mani a saponetta faccio cascare dodici bicchieri in cinque minuti e passo da assunta a licenziata in un attimo!”.
Gioia dà uno sguardo alla finestra, perché le sembra di scorgere qualcosa: sotto la luce del lampione, infatti, vede scorrere come una foglia minuscola, bianca, che dondola piano.
Sembra neve. Anzi, lo è. Ma Gioia non si alza. Probabilmente, se ci fosse Tonia, la prenderebbe con la forza per farla andare alla finestra a perdersi davanti a quello spettacolo che tanto le piaceva quando era bambina, quando poteva stare ore a guardarla, lasciandosi cullare da infiniti sogni su sfondo bianco. Ma lei le risponderebbe comunque: “Appunto. Da bambina”, rituffando la testa nella pagina degli annunci e non degnando di uno sguardo il cadere sempre più copioso dei fiocchi, là fuori.
Gioia sbuffa. Ormai li ha già letti tutti e non ce n’è uno di appetibile. Inoltre ha notato che nessuno fa i salti di gioia quando dice che, be’, come titolo di studio ha solo la terza media, visto che ha lasciato il liceo a metà dell’ultimo anno. La gente tende sempre a pensare male di chi ha mollato la scuola: come se fosse un buono a nulla, o peggio una persona in cerca di guai. Nessuno si chiede mai se magari puoi averlo fatto per un buon motivo. E lei, di buoni motivi per non tornarci più, ne aveva molti più di uno.
Uno di quelli, e neanche il più importante, lo ha rivisto proprio stasera. Anche se non è riuscita nemmeno a salutarlo.
“Ma non ci sono riuscita perché lo volevo troppo, o perché non lo volevo affatto?” si chiede. Siccome non sa rispondere, capisce che forse la risposta è: tutte e due.
Poi va alla finestra. Alza un pochino le tapparelle per guardare meglio la neve che cade.
Le torna in mente quella vecchia storia che gli eschimesi hanno più di cinquanta parole per dire «neve», e si ricorda che, fra queste, ce n’è anche una che descrive la neve quando diventa subito pioggia, sporca e poltigliosa. La parola, lei, sarebbe salagok, ma non sfoglia il suo quaderno da troppo tempo. Però si ricorda bene la sensazione come di disillusione che ti viene a guardare quel bianco farsi grigio scuro, e lo scalpiccio dei piedi quando la calpestano, perché è così che nevica qui dove vive lei, in questa parte del Friuli: una notte al massimo, e poi al mattino è subito acquazzone. E quando è così, i sogni di bambina su sfondo bianco, basta un attimo, diventano subito fango.
Lo sguardo puntato sulla neve però dura solo pochi istanti, perché poi c’è un’altra cosa che distoglie del tutto l’attenzione di Gioia. E quella cosa non è in cielo, ma nel vialetto sotto casa.
«Ehi ma…» dice, e un piccolo alone di vapore si appoggia sul vetro della finestra.
È lui. Lì sotto casa sua, c’è Lo.
(continua in libreria…)
Fonte: www.illibraio.it