I femminicidi cominciano quando non insegniamo ai bambini il valore di un no.
Cominciano quando ridiamo se un bambino spintona una bambina per attirare l’attenzione, e diciamo: “Vuol dire che gli piaci!”.
Quando a un maschio diciamo “Sii forte”, e a una femmina “Abbi pazienza”.
Quando un figlio torna a casa in lacrime e gli diciamo “Non fare la femminuccia”.
Quando una figlia torna a casa in lacrime e le diciamo “Ma che hai fatto stavolta?”.
Cominciano quando un padre si vanta di proteggere la figlia dai ragazzi, ma non di insegnare al figlio il rispetto.
Quando vediamo un ragazzino insultare una compagna e pensiamo: “Sono cose che succedono”.
Quando lasciamo che crescano con videogiochi e canzoni in cui le donne sono premi, e l’amore possesso.
Quando, se una ragazzina ha tanti ragazzi, è “una facile”, e se è un ragazzo a farlo, è “un vero uomo”.
I femminicidi cominciano quando guardiamo i notiziari e commentiamo: “Era matto”, “Un raptus”, “Lei però lo aveva lasciato così, da un giorno all’altro”.
Cominciano quando i padri non parlano mai d’amore con i figli. O, peggio, quando gli parlano d’amore come se fosse una guerra da vincere.
Cominciano quando si parla più della vittima che del colpevole.
Quando le scuole parlano di tutto tranne che di sentimenti.
Quando un maschio cresce pensando che chiedere scusa sia segno di debolezza.
Quando ci diciamo che queste cose succedono “alle altre famiglie”, “in altri ambienti”, “non certo qui”.
E invece no. I femminicidi cominciano anche qui. Cominciano quando noi uomini non ci guardiamo allo specchio.
Quando, pur non avendo mai sfiorato una donna con un dito, ci convinciamo di essere innocenti.
Quando ci indigniamo, sì, ma non cambiamo.
Quando ci sentiamo al sicuro perché “io queste cose non le farei mai”.
Ma se siamo un po’ onesti, davvero onesti con noi stessi, lo sappiamo: non basta non farle.
Lo sappiamo che questo patriarcato che tanto nominiamo non è una teoria da convegno.
È qualcosa che ci sporca le mani anche quando sembrano pulite.
È nelle battute che lasciamo passare, negli sguardi che abbassiamo, nelle frasi che non correggiamo.
E allora è ora di guardarsi allo specchio.
È ora di insegnare ai bambini che amare non vuol dire possedere. E che anche se l’amore può essere una passione a volte violenta, la violenza non c’entra nulla con l’amore.
È ora di crescere figli che sappiano piangere, chiedere scusa, cambiare idea.
È ora di essere uomini.
Uomini diversi da quelli che ci hanno insegnato a essere.
L’AUTORE – Enrico Galiano, insegnante e scrittore friulano classe ’77, in classe come sui social, dove è molto seguito, sa come parlare ai ragazzi.
Dopo il successo di romanzi (tutti pubblicati da Garzanti) come Eppure cadiamo felici, Tutta la vita che vuoi, Felici contro il mondo, e Più forte di ogni addio, ha pubblicato un libro molto particolare, Basta un attimo per tornare bambini, illustrato da Sara Di Francescantonio. È poi tornato al romanzo con Dormi stanotte sul mio cuore, e sempre per Garzanti è uscito il suo primo saggio, L’arte di sbagliare alla grande. Con Salani Galiano ha quindi pubblicato la sua prima storia per ragazzi, La società segreta dei salvaparole. Ed è poi uscito, ancora per Garzanti, il suo secondo saggio, Scuola di felicità per eterni ripetenti. Dopo il romanzo Geografia di un dolore perfetto, è tornato in libreria con Una vita non basta… E ha poi pubblicato con Salani il ultimo libro per ragazzi, L’incredibile avventura di un super-errore. Dal 13 maggio 2025, per Garzanti, il nuovo romanzo, Quel posto che chiami casa.
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Fonte: www.illibraio.it