Era una giornata di primavera. Il sole calava lento e la terra restituiva il suo calore. La presentazione è iniziata puntuale. C’era musica di sottofondo mentre parlavo di Non volare via e la sua straordinaria imperfezione. Tra il pubblico c’era lei. Una signora minuta, seduta composta che mi fissava come se mi conoscesse o volesse dirmi qualcosa. Poco dopo, quando tutti si sono allontanati siamo rimaste sole, io e lei. Mi ha allungato la copia del mio romanzo e mentre io scrivevo il suo nome, tutto d’un fiato mi ha detto: “ho una storia da raccontare e mi piacerebbe che fosse lei a farlo…”
L’ho fissata con timore perché i suoi occhi mi stavano già raccontando tutto.
“Di cosa parla questa storia? Perché dovrei raccontarla?”.
“Sono stata sequestrata da mio marito per sei anni…”
I volti di centinaia di donne mi sono passati davanti. C’erano le loro grida, i loro lividi, le loro richieste di aiuto cadute nel vuoto. Poi c’era lei. Esile e concreta. Lei e la sua verità.
È arrivata così. Come un tuffo da una scogliera. La storia di ognuna di noi. Quella da cui dobbiamo difenderci, quella in cui non dobbiamo cadere, quella che non dobbiamo smettere di raccontare.
Poche ore dopo, ero seduta in auto. Quattrocento chilometri mi separavano da casa e l’indomani mattina altrettanti mi avrebbero diviso da lei. Ho lasciato i miei pensieri e le sue parole lungo tutto quell’asfalto, nel parcheggio, lungo le scale e sul pavimento di casa. Lei era ancora con me. Ho preso il telefono e l’ho chiamata.
“Perché io?” le ho domandato.
“Per la sua ostinata educazione…” mi ha risposto.
Era lì davanti a me. La più grande paura di ogni donna e di ogni autrice. Come si racconta la violenza? Come si può entrare nella vita di una vittima quando quella vita è la cosa che ti spaventa di più al mondo? Come si affronta la dignità di chi viene umiliato? E la paura?
Bastava dire di no, allontanarmi da lei, confessare di non essere pronta per mettermi in salvo. Sarebbe stato un attimo e lei lo avrebbe compreso. Non ci sono riuscita. Non facevo la scrittrice solo per inventare storie, potevo raccontare qualcosa di vero e profondo un’altra volta. Dovevo almeno provarci ma per farlo avevo ancora bisogno di Emma.
Così qualche settimana dopo sono tornata là. Ho condiviso il tempo con lei. Un’intera settimana fianco a fianco e ho lasciato che riuscisse a raccontarmi tutto, senza mai farmi sopraffare dal pregiudizio o da qualsiasi dubbio. Erano passati quindici anni dal giorno in cui, calandosi da una finestra, è riuscita a portarsi in salvo. La guardavo preparare il caffè mentre mi spiegava la sua vita come se fosse la trama di un film, spalancare le finestre dicendomi che da quando era libera odiava vederle chiuse, sorridere per la strada anche a chi non conosce perché la libertà per una donna è un concetto molto più importante di quello che ti vogliono far credere.
Prima di ripartire mi ha messo il suo diario tra le mani.
“Questo l’ho scritto per gli avvocati appena la prima parte dell’incubo è finita. Ti servirà per ricostruire i fatti…”
“Lo custodirò io ma non ti chiedo se lo vuoi indietro…”
“Puoi darlo alle fiamme quando non ti servirà più. La mia vita è tutta davanti ora…”
Così l’ho scritta. Ho versato lacrime e mi sono infuriata così tanto che avrei lanciato il computer dalla finestra. Era la rabbia che solo la violenza, di qualsiasi genere sia, ti fa crescere dentro. La rabbia che solo le donne possono comprendere perché anche quelle che non hanno mai portato a casa un livido, sanno esattamente di cosa sto parlando.
Prima che finisse nelle mani del mio editore, sono tornata da Emma con una copia del manoscritto.
“Se non te la senti più, la buttiamo nella spazzatura. Io non faccio un solo passo se tu non sei d’accordo…”. Non sarei mai andata avanti senza saperla dalla mia parte.
Il giorno dopo è arrivata la sua telefonata.
“Questa storia può aiutare altre donne, può far luce su qualcosa che le vittime spesso non possono più raccontare… grazie”
“Ce la metterò tutta per farla splendere. Te lo prometto”.
Dopo il grande successo di Non volare via e la vittoria del Premio Bancarella con Niente è come te, Sara Rattaro torna in libreria con un romanzo tratto da una storia vera, Splendi più che puoi, sempre pubblicato da Garzanti. E lo presenta così ai lettori de ilLibraio.it.
Il libro racconta una storia profonda in cui dal dolore fiorisce la speranza. In cui l’amore fa male, ma la voglia di tornare a essere felici è più potente di tutto. Perché non c’è ferita che non possa essere rimarginata.
Sara Rattaro
Fonte: www.illibraio.it