La differenza tra fiaba e favola, per non sbagliare più

di Eva Luna Mascolino | 16.11.2023

Fiaba o favola?

A chi non è mai capitato di citare la storia della volpe che, quando non arriva all’uva, dice che è acerba? O quella della strega di Hänsel e Gretel, che vive in una casetta di marzapane e vorrebbe mangiare i due fratellini dopo averli ben nutriti?

Si tratta di vicende che hanno segnato i nostri primi anni di età, che sono entrate nel tessuto della nostra cultura popolare e che periodicamente possono tornare alla nostra mente, anche se non sempre è facile stabilire con esattezza se abbiamo a che fare con una fiaba o con una favola.

I due termini, infatti, spesso rischiano di essere considerati intercambiabili, quando in realtà identificano due tipi di narrazione diversi, con delle caratteristiche a sé stanti: ecco quindi una guida per imparare a distinguerli con chiarezza, a rintracciare qualche esempio di riferimento e a non sbagliare più

Che cos’è la fiaba? Significato ed esempi

Cominciamo dalla fiaba, che fin dall’antichità era una modalità di racconto tramandato per via orale di generazione in generazione. Nata pensando non a un pubblico di soli bambini e di sole bambine, bensì come distrazione anche per gli adulti coinvolti in lunghe attività (come la filatura, la pesca o le notti trascorse intorno al fuoco), la fiaba è stata infatti codificata per iscritto solo in tempi più recenti.

Questo spiega come mai, di solito, la fiaba abbia un’estensione medio-breve, che all’epoca facilitava la memorizzazione, e si rifaccia a elementi e situazioni in cui la gente può riconoscersi facilmente (orfanelli, fanciulle smarrite nel bosco, famiglie umili…) o in cui sogna di immedesimarsi (audaci cavalieri, leggiadre principesse, gnomi e fate…).

Di conseguenza, a contraddistinguere la fiaba è anche – fra i suoi tratti ricorrenti – la presenza di qualche elemento magico, di personaggi immaginari (buoni o cattivi che siano) e di protagonisti umani, che spesso devono superare delle prove, dimostrare il proprio valore o risolvere una difficoltà se vogliono ottenere il lieto fine – non sempre poi raggiunto alla fine dell’intreccio.

Fra gli autori di fiabe più celebri del mondo occidentale, che hanno raccolto narrazioni preesistenti o che hanno attinto al folklore per crearne di nuove, ricordiamo in particolare Charles Perrault (1628-1703) per la Francia, i fratelli Grimm (1785-1863 e 1786-1859) per la Germania e Giuseppe Pitrè (1841-1916) per l’Italia, così come Hans Christian Andersen (1805-1875) per la Danimarca e Aleksandr Nikolaevič Afanas’ev (1826-1871) per la Russia.

Che cos’è la favola? Significato ed esempi

Diverso è il caso della favola, che con la fiaba ha in comune solo l’etimologia, dal momento che entrambe le parole derivano dal sostantivo latino fabula, a sua volta proveniente dal verbo for, faris, fatus sum, fari, che in italiano equivale non a caso a dire, a raccontare.

Per i Greci e i Romani, infatti, la favola indicava qualunque episodio basato su fatti inventati, che generalmente affondava le proprie radici in miti o leggende e che, ancora una volta, era rivolto tanto alle nuove quanto alle vecchie generazioni. Dopodiché, con il passare del tempo, la favola ha iniziato a riferirsi a un breve testo in prosa o in versi che quasi sempre ha per protagonisti e antagonisti degli animali.

Qui, quindi, non troviamo elementi magici o inventati, ma situazioni realistiche in cui i personaggi rappresentano i vizi e le virtù dell‘essere umano: volendo descrivere (e a volte criticare) la nostra società, le favole di conseguenza tendono a concludersi con una morale, cioè con un netto insegnamento etico o di comportamento.

Fra le più memorabili del mondo antico, ricordiamo in particolare le favole di Esopo (620-564 a.C.) e di Fedro (20/15 d.C. circa – 50 d.C. circa), mentre in epoca moderna si sono imposte le opere di Jean de La Fontaine (1621-1695), John Gay (1685-1732), Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781), Giovanni Meli (1740-1815), Tomás de Iriarte (1750-1791) e Ivan Andreevič Krylov (1768-1884), e nel Novecento quelle di Rudyard Kipling (1865-1936) e di Italo Calvino (1923-1985).

Alcuni casi limite

Pur essendo chiare e numerose le differenze fra la fiaba e la favola, esistono alcuni casi limite che possono creare perplessità anche a chi pensa di avere fugato ogni dubbio. Per menzionare uno tra gli esempi più noti, soffermiamoci sulla storia di Amore e Psiche (di cui abbiamo parlato più nel dettaglio in questo articolo), un mito ripreso da tanti scrittori fra cui spicca l’autore latino Apuleio (124-180 circa).

Contenuta nella più ampia opera delle Metamorfosi (Garzanti, traduzione di Nino Marziano), la Favola di Amore e Psiche (Garzanti, traduzione di Nino Marziano) si è imposta da secoli come appunto una favola, anche se non presenta protagonisti animali né ha una morale finale, e in maniera più esatta dovrebbe perciò configurarsi come una fiaba in cui compaiono incantesimi, storie d’amore e divinità.

Discorso analogo vale per un famoso racconto dei fratelli Grimm intitolato I musicanti di Brema (in tedesco Die Bremer Stadtmusikanten): pur essendo di solito catalogato come una fiaba, al pari delle altre storie trascritte dai due linguisti e filologi tedeschi, questo sembrerebbe invece una favola, perché ha per protagonisti degli animali che interagiscono in un contesto realistico e con un considerevole risvolto sociale.

Al di là di alcune eccezioni, come quelle che abbiamo osservato insieme, resta comunque il fatto che la fiaba e la favola non sono due tipi di narrazione sovrapponibili o affini, motivo per cui è importante imparare a riconoscerle e a catalogarle di volta in volta nel modo più adeguato.

Fonte: www.illibraio.it