Chi l’avrebbe mai detto che a un certo punto della mia esistenza l’andamento della mia giornata sarebbe stato distrattamente influenzato dalle evacuazioni intestinali di qualcun altro; che la mia maggiore preoccupazione sarebbe stata quella di accompagnare mia figlia a scuola la mattina più leggera di un paio di etti.
La sorte ha voluto donarmi una bambina particolarmente affezionata all’igiene intima che si rifiuta di utilizzare i bagni della scuola perché il contesto non consente insaponatura, lavaggio e lucida cruscotto.
Quindi, da tre anni a questa parte, le mie giornate sono scandite da una certa ansia da evacuazione.
È facile immaginare con quale umore io sia partita per le vacanze lo scorso anno, cosciente di dover affrontare un viaggio di due giorni con diversi mezzi di fortuna e una bambina non cagata.
La meta ultima era Zara, la partenza da Torino. Fino a Pola tutto è filato più o meno liscio, non appena ci siamo imbarcati su un catamarano fatiscente tenuto insieme coi rivetti e alimentato a sgrano di rosari, l’intestino di mia figlia l’ha presa sul personale.
Dovevo immaginarlo, quest’ultimo possiede una dettagliata guida Michelin delle peggiori latrine del mondo, e quando siamo prossimi ad una di queste, si risveglia. È come Pokémon Go ma dei cessi.
“Mamma, cacca”.
Eccla là.
“Ma non la potevi fare prima?”
“Prima quando, che siamo in viaggio da diciotto mesi?”
Recupero il vasino portatile (l’investimento migliore della mia vita!) e la porto in quello che dovrebbe essere un bagno, ma altro non è che un microonde con un buos.
Nonostante l’ambiente inospitale, ne usciamo vittoriose. Avvio la procedura di riordino, quando:
“Mamma, non mi hai lavata”.
“Amore, non posso lavarti qui. Dovrai accontentarti di questi due pezzi di carta vetro che in passato, prima che perdessi il coperchio adesivo, sono state salviette umidificate”.
La notizia scatena una crisi isterica nella mia piccola germofobica.
Io, già provata dalle molteplici difficoltà a cui quel viaggio mi stava sottoponendo, la carico di peso su un braccio con la sola forza della carogna e tento una azzardatissima manovra di sciacquo in quello che doveva essere un lavandino, ma che ricordava, per dimensioni e forma, la ciotolina della salsa di soia dell’All you can eat cinese. A giudicare dallo stato, qualcuno ci aveva anche già intinto un paio di uramaki.
Non solo l’intera superficie era interamente ricoperta di lerciume e indefinite secrezioni corporee, ma l’innovativo miscelatore era uno di quelli a pressione temporizzata, ovvero premi il tasto, l’acqua scorre per qualche secondo e si interrompe. In questo caso l’acqua scorreva per un secondo e mezzo. Grandioso.
Quindi, mentre con il braccio sinistro tenevo sospesi diciotto chili di bambina cercando di non farle toccare nulla per paura che il solo contatto con quella colonia di batteri l’avrebbe fatta dissolvere come Marty McFly, con l’altra premevo il tasto del rubinetto e schiaffeggiavo il breve flusso d’acqua per lanciarglielo sulla pelle.
Nel frattempo, fuori, una lunga fila di malcapitati attendeva di poter andare in bagno. Qualcuno mi ha anche bussato e chiesto “scusi, lei spaccia lì dentro?”
Alla fine ne usciamo pressoché indenni: lei con un culo pressoché lavato, io intrisa di liquidi e rancore.
L’AUTRICE – Giada Sundas è una giovane madre molto seguita in rete. Sui social racconta la sua esperienza di “madre imperfetta ma imperterrita” con freschezza e ironia. Il suo romanzo d’esordio, edito da Garzanti nel 2017, si intitola Le mamme ribelli non hanno paura, e racconta la storia di Giada dal giorno in cui la piccola vita di Mya, sua figlia, ha cominciato a crescere dentro di lei. Nel 2018 è uscito il suo secondo, atteso libro, Mamme coraggiose per figli ribelli, in cui l’autrice torna a parlare del mestiere più difficile del mondo: fare la madre. Con la sua inconfondibile vena ironica…
Alla pagina dell’autrice tutti gli articoli di Giada Sundas per ilLibraio.it
Fonte: www.illibraio.it