Un lettore in grado di appassionare gli intellettuali ma anche il «lettore comune» a libri nuovi, a idee vecchie e ad argomenti insoliti.
Nell’arco di trent’anni, dal 1967 al 1997, George Steiner è stato tra i collaboratori più assidui del «New Yorker», una delle riviste più autorevoli e prestigiose, ineguagliabile per la cura e il livello dei suoi contributi. A un contesto di eccellenza, Steiner ha dato un’impronta inconfondibile, con una serie di saggi esemplari per profondità e lucidità, per la capacità di affrontare tematiche complesse con chiarezza, e spesso con grande forza di provocazione.
I testi raccolti in Letture. George Steiner sul «New Yorker» offrono una lezione straordinaria. Attraverso l’esempio, e dunque nella maniera migliore, Steiner insegna come si legge un libro, come si affronta un autore, come si approfondisce un tema (o un enigma culturale), come si crea una connessione inedita che illumina il nostro sguardo sul mondo, come si va dritto al cuore di un problema.
Le sue intuizioni sono sempre innescate da un’accurata lettura dei testi, dalla capacità di concentrarsi – al di là e contro ogni faciloneria postmoderna – sul senso di una frase, sul significato delle parole. I giudizi sono sorretti da una profonda cultura e dall’ampiezza degli orizzonti, oltre che da lucidità e autonomia intellettuale. Ad animarlo, come ha riconosciuto Susan Sontag, è il suo impegno a favore della «serietà»: un impegno ravvivato dalla generosità del maestro e dal gusto della provocazione.
Un ulteriore motivo di interesse è costituito dai saggi dedicati al nostro paese. Da un lato emergono la conoscenza e l’amore per Dante, Michelangelo o Verdi (ma anche per Salvatore Satta), dall’altro l’attenzione per la nostra storia, dall’unità d’Italia al caso Moro.