Introduzione e prefazione di Gabriella Contini
A trentacinque anni, autore di un romanzo ormai dimenticato, Emilio Brentani pare rassegnato a un’incolore esistenza piccolo borghese accanto alla non più giovane sorella Amalia. L’occasione tardiva per reagire all’apatia quotidiana che gli fa consumare la vita senza apprezzarla né soffrirla è l’incontro con Angiolina, una popolana vivace e dotata di una prorompente vitalità con cui intreccia una relazione. Ma la storia d’amore è minata da gelosie e incomprensioni e tragicamente segnata dalla morte di Amalia, che smarrisce il già precario equilibri mentale sentendo venir meno il sostegno dell’affetto fraterno. Come altri “eroi” sveviani, il protagonista di questo romanzo pubblicato nel 1889, che Montale definì di «nervosa modernità », è un individuo abulico e infelice, incapace di affrontare la realtà: tenta di nascondere a sé stesso la propria inadeguatezza sognando evasioni e cercando diversivi, ma non gli resta alla fine che l’amara coscienza di una inettitudine senza scampo, il rifugio nella quieta inerzia della “senilità”, approdo di una sofferta parabola e simbolo di una condizione in cui ogni scatto vitale è annullato, ogni speranza vanificata.
