“L’odore freddo del mare”: viaggio in un’isola remota, in cui non vedremo l’ora di tornare

di Giuliana Altamura | 29.08.2024

L’inverno della balena, la primavera di una ragazza

In un’isola remota e senza nome al largo della costa gallese abita Manod, una ragazza di diciotto anni costretta a crescere prima del tempo in seguito alla prematura scomparsa della madre.

Siamo nell’autunno del 1938, dal continente arrivano notizie di una guerra pronta a scoppiare, ma sull’isola – lunga quattro chilometri e larga uno e mezzo – la vita continua a scorrere come se nulla fosse, seguendo i ritmi dettati dal cielo e dal mare: il freddo comincia a cadere su ogni cosa “pesante come un sasso”, gli uccelli abbandonano i nidi sulle scogliere, il mare si frange sulle sponde in attesa dell’inverno.

Gli abitanti dell’isola – dodici famiglie in tutto – vivono da sempre di ciò che riescono a pescare e rivendere sulla terraferma, e l’emorragia di giovani sembra essere inevitabile: molti ragazzi partono nella speranza di trovare un lavoro, magari in fabbrica, mentre le ragazze si sposano apposta per andarsene. In entrambi i casi, la vita in città finisce col rivelarsi più dura o meno felice di quanto si aspettassero.

Manod – protagonista e voce narrante di L’odore freddo del mare (Garzanti, traduzione di Federica Merati, titolo originale: Whale Fall), il delicato e affascinante esordio di Elizabeth O’Connor – trascorre le sue giornate prendendosi cura del padre, un pescatore di aragoste, e della sorellina dall’indole indomabile, Llinos, ricoprendo di fatto le funzioni di moglie e di madre.

L'odore freddo del mare, il delicato e affascinante romanzo d'esordio di Elizabeth O’Connor

Ha da poco terminato gli studi nella scuola dell’isola dove ha imparato l’inglese leggendo la Bibbia, ma il fatto di essere una studentessa brillante non ha particolare valore nel contesto in cui vive: come diceva sempre sua madre, “per una donna non esiste altro lavoro che fare la moglie“, e anche il padre – uomo di poche parole con addosso i segni di una vita sfiancante – insiste perché trovi al più presto un marito.

Quando passeggia sulla spiaggia, tuttavia, Manod sogna a occhi aperti di vivere da qualche parte in Europa, “in un’alta torre bianca nella piazza di una città”, e di lavorare come sarta, cucendo abiti eleganti e alla moda come quelli che vede sulle riviste che le donne lasciano in chiesa e che lei legge con avidità.

Un giorno di settembre, all’improvviso, la carcassa di una balena emerge dalle acque del mare e si arena nelle secche dell’isola. È un evento impressionante: secondo gli anziani potrebbe trattarsi di “una specie di presagio”, sebbene non concordino nello stabilire “se buono o cattivo”. Quel che è certo è che l’inquietante presenza della balena e il suo progressivo deteriorarsi, con tutta la sua portata simbolica, aprirà la strada al cambiamento nella vita di Manod e in quella della comunità.

Pochi giorni dopo, infatti, arriveranno sull’isola due antropologi dell’Università di Oxford con l’intento di studiare vita, cultura e tradizioni dei suoi abitanti e, dal momento che nessuno dei due ricercatori parla gallese, Manod verrà assunta come traduttrice. Per la ragazza si tratterà di un’incredibile opportunità per entrare in contatto con quel mondo, moderno e progressista, che l’ha sempre affascinata: Joan le permetterà di immaginare una vita diversa, in cui le donne possono scegliere di non sposarsi, possono iscriversi all’università e diventare quello che desiderano, mentre Edward – dopo aver intrecciato una relazione con lei – le darà la speranza di poter lasciare l’isola per seguire i suoi sogni.

Ma le promesse dei due inglesi si riveleranno illusorie, in Manod crescerà a poco a poco la consapevolezza della loro natura manipolatoria: a renderla evidente sarà proprio il modo in cui Joan ed Edward sceglieranno di raccontare la vita dell’isola, ben lontano dalla verità, idealizzando un idilliaco “stato di natura” più vicino all’immaginario del nazionalismo fascista cui l’antropologa ha aderito che alla realtà della ragazza. Sarà proprio questa disillusione a spingere Manod a fare i conti col suo passato (attraverso l’elaborazione del lutto della madre) e con i suoi desideri presenti, dandole il coraggio di prendere finalmente in mano la sua vita.

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In una nota al testo, O’Connor scrive di aver ambientato il romanzo in un’isola fittizia, ispirata tuttavia a un insieme di isolotti che compongono le Isole britanniche e che, negli ultimi due secoli, sono stati interessati “da un calo della popolazione, dall’irrigidimento del clima, dalla privatizzazione dei terreni e dal trasferimento delle giovani generazioni sulla terraferma”. Tra queste isole cita anche le Aran, un piccolo arcipelago al largo della costa irlandese raggiunto nel 1931 dall’antropologo Robert J. Flaherty, che vi girò un documentario intitolato L’uomo di Aran, tristemente noto per gli errori di contenuto e le invenzioni: come avviene nel romanzo, alla popolazione fu richiesto di creare alcune situazioni a tavolino, fingendo autenticità.

Ed è proprio un senso di autenticità ad aleggiare tra le pagine del romanzo, nonostante l’ambientazione fittizia: l’autrice vanta nella sua famiglia antenati vissuti nelle isole gallesi (“Ho sempre pensato a voi”, scrive nei ringraziamenti, “al lavoro e all’esistenza a contatto con il mare che mi avete lasciato in eredità”) ma, soprattutto, ha svolto un importante lavoro di studio e documentazione sul territorio raccontato, che emerge sia nelle pagine dedicate alla vita e al lavoro degli abitanti della comunità sia nelle trascrizioni dai taccuini degli antropologi.

La dimensione storica del romanzo porta in primo piano tematiche politiche e sociali di una certa rilevanza, dal femminismo nascente alla contrapposizione tra la natura e il progresso, fino all’emergere di un proto-capitalismo nel processo di evacuazione e sfruttamento delle isole cui viene accennato.

La balena, da questo punto di vista, diventa una metafora di un mondo che muore e che gli uomini del National Salvage Council corrono letteralmente a spolpare, portando via il grasso per fare il carburante, gli organi e la pelle per il fertilizzante, lasciando all’isola solo le inutili ossa. Ma L’odore freddo del mare è soprattutto una riflessione sull’identità: quella di una comunità intera che, tra il fantasma del progresso e quello della guerra, deve fare i conti con un mondo che cambia, e quella di una ragazza schiacciata dalle aspettative degli altri, col bisogno di capire chi è per trovare il suo posto e diventare grande.

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Lasciare l’isola, in fondo, è lasciare l’infanzia, e l’arrivo di Joan ed Edward, l’infatuazione di Manod per entrambi che passa anche attraverso il suo risveglio sessuale, ha la forza di un rito di passaggio: è una chiamata ad autodeterminarsi, a cercare sé stessa al di là dei bisogni della sorella e del padre, al di là del ruolo di futura moglie e madre che la società le ha assegnato, al di là anche dell’immagine falsata di lei e del suo mondo che i due antropologi si affannano a cucirle addosso. E la balena allora diventa metafora di qualcos’altro, di un gigantesco dolore rimosso: quello per la misteriosa morte della madre, che riemerge come un cadavere dalle acque psichiche di Manod per spingerla ad affrontare il passato e, dopo averlo affrontato, a partire – più leggera, finalmente – alla ricerca del proprio futuro.

L’odore freddo del mare è costituito da capitoli brevi, piccoli quadri che in certi casi assumono davvero una valenza pittorica per la loro qualità evocativa. È un romanzo in cui più che i dialoghi (a volte poco funzionali), più che l’azione (spesso interrotta dall’inclusione di canzoni, testimonianze e racconti del folklore isolano) è l’atmosfera a risultare ammaliante, resa da descrizioni delicate ed esatte. La voce narrante, con le sue sfumature grige di mare e di ghiaccio, possiede un lirismo che non diventa mai eccessivo e che riesce nella difficile impresa – specie per un esordio – di risultare al contempo controllato e viscerale. O’Connor, con la sua precisione e la sua poesia, ci regala un viaggio in un territorio angusto e remoto in cui non vedremo l’ora di tornare.

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Fonte: www.illibraio.it