Nessuna notizia dello scrittore scomparso (Garzanti) è il secondo romanzo di Daniele Bresciani, giornalista molto stimato, attualmente alla direzione comunicazione della Ferrari, e porta il lettore nella mente di uno scrittore e di un giornalista.
La protagonista del libro è una giornalista di nome Emma che, tempo addietro, ha avuto una relazione con un noto autore thriller, Pietro Severi; i due non si sentono da quando la loro relazione è finita ma, in un giorno come tanti altri, Emma riceve una busta mandata da lui. Quello stesso giorno, viene annunciata la scomparsa di Pietro.
Nella busta misteriosa si trovano poche pericolose pagine, notizie di un padre assassino e di un figlio in difficoltà, ma non c’è modo di sapere se sia verità o finzione, se si tratti di una notizia o dell’incipit di un nuovo romanzo di Pietro. Emma decide di far finta di nulla: nessuno sa della sua storia con lo scrittore e nessuno lo deve sapere.
Eppure, ogni momento che passa, lei è in pericolo, minacciata da qualcuno che vuole cancellare per sempre quelle pagine e la verità che contengono…
Bresciani, autore di Ti volevo dire (Rizzoli), costruisce un romanzo incalzante, che mette in luce tutto il potere, talvolta pericoloso, della parola scritta, trasportando il lettore nel cuore delle redazioni giornalistiche.
Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it pubblichiamo un estratto:
Forty Foot è una piccola insenatura della baia, dove, da almeno duecentocinquant’anni, i dublinesi più intrepidi – e meno freddolosi, considerata la temperatura dell’acqua – si ritrovano per fare il bagno.
Un tempo era riservata soltanto agli uomini, ma dagli anni Settanta le battaglie per l’emancipazione femminile hanno fatto in modo che anche le donne vi fossero ammesse. È un luogo storico, amatissimo dalla gente del posto, tanto che James Joyce in queste acque ha fatto nuotare il suo Leopold Bloom.
Pietro Severi, se non era fuori città, ci andava ogni martedì mattina, il giorno in cui dava libertà ai domestici per godersi l’enorme casa in solitudine. E ci andava in qualsiasi stagione e con qualsiasi tempo, anche pessimo, come quel giorno.
Arrivando in prossimità della costa aveva notato che in lontananza il mare si stava ingrossando. In acqua c’erano solo due persone: in una aveva riconosciuto Ulick, un settantenne fonte inesauribile di racconti.
Fuori dall’ingresso c’era un altro frequentatore abituale di quella piscina scavata tra le rocce, che rabbrividiva avvolto in un asciugamano consumato. Lo aveva salutato prima di infilarsi nello spogliatoio. Aveva appeso i suoi abiti ai ganci, appoggiato il telo di spugna sulla sedia, indossato i calzoncini come richiesto espressamente dal cartello che voleva far presente ai nostalgici che i tempi in cui quello era un luogo per nudisti erano finiti, ed era uscito.
Una folata gelida l’aveva colpito e lo aveva fatto tremare. Istintivamente aveva alzato gli occhi verso il cielo: da grigio era diventato nero, una tela uniforme senza spiragli. Nel frattempo i due bagnanti temerari si stavano avvicinando alla riva per uscire. Li aveva aspettati e aveva allungato la mano a Ulick, per aiutarlo a rimettersi in piedi. Il vecchio l’aveva fissato, perplesso.
«Buongiorno.»
«Buongiorno, Ulick.»
«Sicuro di voler entrare?»
«Sicuro.»
«Nah, oggi è troppo anche per me.»
Passandogli accanto, prima di risalire verso lo spogliatoio aggrappandosi alla ringhiera di metallo piantata nella roccia, gli aveva mollato una botta leggera con la mano bagnata sulla coscia e aveva bofonchiato qualcosa di incomprensibile.
Quel tocco l’aveva infastidito, d’istinto avrebbe voluto rispondere allontanando il vecchio con una spinta, ma era rimasto lo stesso immobile.
Aveva atteso ancora qualche istante poi, trattenendo il respiro, si era immerso e aveva sentito l’acqua stringergli il corpo come in una morsa. Aveva mosso qualche bracciata veloce, per provare a scaldarsi. Quando aveva avuto l’impressione che il suo corpo si fosse acclimatato, si era fermato e si era lasciato galleggiare sul dorso.
Mentre giaceva con le braccia spalancate, si era accorto che le onde erano aumentate e che il suo corpo veniva spostato dalla corrente. Le orecchie, sotto il pelo dell’acqua, gli rimandavano amplificato il rumore del suo respiro, che stava piano piano ritrovando un ritmo meno affannato.
Aveva alzato di nuovo lo sguardo verso il cielo e si era reso conto che ormai la pioggia non era più soltanto una minaccia.
Una goccia l’aveva colpito sulla guancia sinistra.
Poi Pietro Severi aveva chiuso gli occhi.
(Continua in libreria…)
Fonte: www.illibraio.it