Segreti e abiti che nascondono misteri nel nuovo romanzo di Cristina Caboni

di Redazione Il Libraio | 18.10.2018

Torna in libreria Cristina Caboni, con il nuovo romanzo La stanza della tessitrice (Garzanti). Dopo aver pubblicato, sempre con Garzanti, Il sentiero dei profumi, La custode del miele e delle api, Il giardino dei fiori segreti e La rilegatrice di storie perdute, l’autrice scrive una storia che vede come protagoniste due donne alla ricerca di un antico mistero da svelare.

Per iniziare una nuova vita, Camilla si è trasferita a Bellagio. Solo qui è libera di realizzare i suoi abiti capaci di infondere coraggio, creazioni che sono ben più di qualcosa da indossare e mostrare. Ma ora è costretta ad abbandonare tutto perché Marianne, la donna che l’ha cresciuta come una madre, ha bisogno del suo aiuto. Vuole ritrovare la sorella che non ha mai conosciuto, e l’unico modo che ha è seguire un indizio trovato nelle cuciture interne di un vestito: un sacchetto che custodisce una frase di augurio per una vita felice.

Camilla si ricorda della leggenda di Maribelle, una stilista che, all’epoca della seconda guerra mondiale, era famosa come “Tessitrice di sogni“. Nei suoi capi erano nascosti i desideri e le speranze delle donne che li portavano. Maribelle è una figura che la affascina da sempre: si dice che sia morta nell’incendio del suo atelier parigino, circondata dalle sue creazioni.

Camilla non sa quale sia il legame tra Maribelle e la sorella che Marianne vuole ritrovare, ma sente che la sua intuizione è giusta: Parigi è il luogo da dove iniziare le ricerche; stoffe, tessuti e bozzetti sono la strada da seguire. Una strada tortuosa, come complesso è ogni filo di una trama che viene da lontano. Perché Maribelle ha lottato per affermare le proprie idee e perché seguirne le orme significa, per Camilla, scavare dentro se stessa.

Per gentile concessione della casa editrice, su ilLibraio.it un estratto dal romanzo:

La trama era delicata. Uno shantung di seta di straordinaria fattura. Le ricordava l’azzurro deciso del cielo d’inverno, limpido come il cristallo, gelido e infinito. Camilla Sampietro accarezzò la stoffa dolcemente. Le sfumature ricche e decise variavano dal turchese più delicato all’indaco, come fiammate in un gioco di lucido e opaco. Al tatto era meravigliosamente irregolare, con i grumi e i tipici nodi di quel prezioso tessuto.

Ne saggiò con la punta delle dita la consistenza ruvida. Tratteneva il fiato, come le accadeva ogni volta che le capitava tra le mani un pezzo di quella bellezza. «È seta pura. Tessuto a doppione.» Dubitava che la ragazza conoscesse il significato di quelle parole. Ma non era importante. Ciò che contava davvero era cosa Lucy Wong, così aveva detto di chiamarsi, voleva fare di quel vestito.

Il silenzio si dilatò, trattenendo i loro respiri.

«Crede che ci sia abbastanza tessuto per ricavarne un abito per me?»

L’espressione di Lucy era piena di speranza. Il vestito che aveva disposto con tanta cura sul banco della piccola sartoria dove Camilla lavorava da un anno, era appartenuto alla sua bisnonna. Le aveva raccontato con gli occhi velati dall’emozione che, quando la sua famiglia era fuggita dalla Cina quasi un secolo prima, era finito in una sacca insieme a qualche gioiello di poco valore. Il resto era andato perduto da tempo, ma avevano avuto cura di quell’abito. Suo padre glielo aveva mostrato qualche volta prima di riavvolgerlo nella carta

profumata. E adesso che lui non c’era più, indossarlo le avrebbe consentito di averlo ancora accanto.

Quando Camilla aveva visto Lucy entrare col suo pacco stretto al petto, aveva capito subito che non si trattava di una cliente qualunque.

Lei era una delle «altre». Quelle che volevano provare emozioni. Che sceglievano con cura che cosa indossare, spesso ricavandolo da abiti appartenuti a qualcuno di molto amato.

Volevano qualcosa che le identificasse. Che creasse un legame tra di loro.

«Dipende dalla scelta del modello, ma direi di sì.» Un sentore di sandalo era penetrato nella stoffa. Camilla era affascinata dalla sua complessità che le ricordava la freschezza di un giardino. Sorrise. «Il tessuto è in ottime condizioni, non ci sono punti danneggiati a parte il colletto.» Col dito seguì il ricamo tipico degli abiti di corte della dinastia Qing, orchidee, simbolo di bellezza e fertilità, farfalle a centinaia, come dovevano essere le benedizioni. E fili di rame e oro, applicazioni lungo i bordi, dal collo alle maniche, fino a raggiungere l’orlo della veste. Era un dipinto di colori e di movimento. Era un’opera d’arte. Non riusciva a distogliere lo sguardo, affascinata dalla grazia del motivo, dalla sua forza, che a distanza di un secolo emanava ancora luce e freschezza. Aveva rappresentato degnamente chi lo aveva indossato. Si scoprì a pensare che sarebbe stata felice di portarlo.

Sarebbe stata orgogliosa.

Lucy piegò le labbra in un mezzo sorriso. «La giada che lo decorava è servita a finanziare gli studi di mio padre», sussurrò. «Ho sentito questa storia migliaia di volte. Mi hanno detto che era trasparente e che cambiava sfumatura a seconda della luminosità. Rappresentava il prestigio della famiglia.»

Camilla ascoltava rapita, era come se la vita di quelle persone avesse gravitato intorno a quell’abito, un pezzo di stoffa che, con la propria trama, si era legato al filo della loro esistenza. Era questo che rappresentava per lei la moda: un legame, una storia.

(Continua in libreria…)

La foto dell’autrice è di Cosimo Maffione.

Fonte: www.illibraio.it